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Matteo-25-15-SERMONE-PROFETICO

“all’uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno; a ciascuno secondo la sua capacità” (Matteo 25:15)

Questo verso contenuto nel lungo sermone profetico sembra riassumere tutto l’insegnamento di esso; non dobbiamo ignorare infatti che il sermone profetico non è soltanto l’annuncio, l’anticipazione degli avvenimenti futuri, delle cose degli ultimi tempi, ma è anche e forse soprattutto una lezione panoramica di vita cristiana! E logico che sia cosi perché se il sermone ci parla del ritorno di Cristo, dello Sposo, del Signore, del Padrone, del Giudice deve anche parlarci del modo adatto per riceverLo ed incontrarLo. La lezione ci insegna la vigilanza, la fedeltà, il fervore, il Servizio, l’amore …. Essa si esprime con accenti semplici, ma decisi e ci ripete:

Egli torna, può tornare di notte, come per i due che stavano assieme in un letto; può tornare all’alba come per le due donne che macinavano unite alla stessa può tornare di giorno come per i due uomini che lavoravano fianco a fianco nei campi, nello stesso tempo, torna per gli uni di notte per gli altri di giorno, per tutti all’improvviso e coloro cristiana saranno presi e gli altri lasciati.

Egli torna …. vuoi trovare servi sobri, equilibrati e pieni di premura nel suo servizio; servi che non “reputino tardanza” il passar degli anni o dei secoli ma che sappiano dare cibo e guida ai loro conservi.

Egli torna …. può venire quando le ombre della notte sono calate e si sono fatte fitte, quando, quando tutto è invito al riposo e al sonno, quando il grido dell’annuncio: – Ecco lo Sposo viene … – può risuonare come una parola che laceri l’aria e ridesti la vita Egli viene e vuoi trovare un piccolo orciuolo pieno d’olio, perché quelle vergini che potranno far brillare la luce della loro lucerna e spandere attorno il lieve calore di esse saranno accolte nelle stanze tranquille e luminose della gioia eterna.

Egli torna e torna per chiamare attorno a se i servi ai quali ha affidate le sue ricchezze; vuole una relazione che dica del loro servizio, della loro dedizione, della loro attività ed Egli è pronto a premiare, pronto a punire, pronto a lodare e pronto a biasimare secondo l’opera di ciascuno.

Egli torna per accogliere gli uomini e separarli; è ancora e sempre il Pastore, anzi il Buon Pastore, ma questa volta divide gli agnelli dai capretti: torna per mettere i capretti alla sinistra e gli agnelli alla destra perché i primi sono l’espressione dell’odio e dell’indifferenza ed i secondi l’impersonificazione dell’amore e della sensibilità.

Egli torna … Egli torna… Egli torna… Egli torna… Egli torna…

Ecco davanti a noi i cinque aspetti d’una lezione che c’insegna profondamente l’importanza d’una vita feconda ed esuberante. La sintesi della lezione è contenuta nel nostro testo che ci dichiara come Iddio opera verso noi e come noi dobbiamo operare verso Dio.

COME OPERA DIO VERSO NOI ?

Paolo scrive nella sua ultima epistola “Io ho finito il corso …”; si riferisce certamente anche al corso della sua vita, ma vuole soprattutto parlare del “corso” che Iddio ha posto davanti a lui, per adempiere il piano della sua volontà e del suo servizio. Ognuno di noi, sembra dirci il nostro testo, ha un corso che è una serie di opportunità concesse da Dio per esperimentare la nostra personalità cristiana.

Nessuno dopo essere stato chiamato da Dio viene lasciato in ozio perché il piano divino prevede un “corso” per tutti, tutti devono assumersi una personale responsabilità nel cospetto del Signore ed operare, mentre sono nel corpo, in maniera da essere retribuiti alla fine. Come credenti come ministri come chiese, come movimenti abbiamo ricevuto da Dio un programma e in questo sono contenuti le opere preparate per noi le opportunità per la nostra vita. Ricordiamoci: le opportunità dei servi che ci vengono presentate dal testo della nostra meditazione sono anche le nostre opportunità. Ma Iddio non prepara soltanto un corso, delle opportunità, ma offre anche un capitale; non possiamo preparare le opere da noi stessi e tanto meno possiamo operarle con le nostre risorse naturali: ogni sufficienza ci viene da Dio. Egli si ricorda che la nostra natura è debole che la nostra povertà è profonda Egli vede che senza di Lui non possiamo far nulla anzi che non siamo neanche capaci a pensare cosa alcuna … Le nostre forze, i nostri eserciti senza lo Spirito del Signore non potrebbero andare molto lontani. Colui quindi che offre le opportunità offre anche il capitale, il Suo capitale. Grazia, potenza, sapienza autorità e molti altri nomi simili a questi ci parlano del capitale di Dio; cioè del tesoro che Egli affida a coloro che sono stati chiamati a fruttificare alla gloria del Suo Nome.Noi abbiamo testimoniato e testimoniamo che la nostra vita è stata resa capace di operare le opere di Dio soltanto dal momento che abbiamo ricevuto il capitale di Dio: questa testimonianza è un riconoscimento della debolezza e della povertà umana ed un’esaltazione della potenza divina cioè del capitale di Dio.

Il sermone profetico ci precisa anche che il capitale viene affidato e suddiviso in proporzione delle capacità di quanti sono chiamati al servizio; nessuno è dimenticato, tutti ricevono, ma ciascuno riceve secondo le proprie capacità. Questo vuoi dire forse che le responsabilità di un ministro si differenziano dalle responsabilità di un semplice credente, come le responsabilità d’una chiesa sono diverse dalla responsabilità d’una missione, ma vuoi dire soprattutto che le vocazioni e i doni di Dio esigono una qualificazione una idoneità da parte dell’uomo.

Quando parlo di qualificazione non voglio e non posso riferirmi a quelle capacità naturali od umane che contraddistinguono gli uomini gli uni dagli altri. Se Gesù stesso ha detto: Ti rendo lode o Padre che hai nascosto queste cose ai savi e agli intendenti e le hai rivelate ai piccoli fanciulli, è chiaro che le qualifiche terrene non hanno nessun valore davanti a Dio. Iddio ha amato e scelto un popolo debole, povero, incolto perché ha voluto mettere l’eccellenza della Sua grazia in vasi di terra che facessero ancora più risaltare la gloria di essa, ma questa grazia eccellentissima, questa potenza divina è stata ripartita secondo la misura del dono di Cristo in ragione delle capacità individuali.

Davanti a Dio la fede è capacità, la consacrazione è capacità, l’umiltà sincera è capacità, la sottomissione è capacità: queste cose possono anche trovarsi in individui che non hanno capacità naturali ed umane, ma Iddio terrà conto delle capacità spirituali e non di quelle naturali.

E’ incoraggiante sapere che anche se non possediamo posizioni sociali e sapienza umana possiamo però avere grandi capacità davanti ai Signore per il servizio del Signore. Non vogliamo dimenticarci infatti che non tutti i padri della fede sono stati uomini di grande cultura o di grande ricchezza ed anche se pensiamo ai pionieri della Pentecoste noi ne ricordiamo molti reclutati da Dio fra le classi più povere e più umili della società.

COME DOBBIAMO OPERARE NOI VERSO DIO?

Come assolveremo il compito ricevuto da Dio?

Operando alacremente ed audacemente alla gloria di Dio.

Non siamo stati eletti per custodire gelosamente ed egoisticamente quello che abbiamo ricevuto tenendolo serrato nella nostra mano, nel nostro cuore o, forse nelle nostre chiese. Il cristiano non è una “cassetta di sicurezza”, ma è un agente bancario al servizio dell’Eterno. La sterilità è condannata da ogni pagina dell’Evangelo perché la semenza del Regno è stata sparsa dal gran Seminatore perché sia fecondata e produca frutto.

E’ ben triste la situazione di quei credenti, di quelle chiese o di quei movimenti che non possono presentare davanti a Dio nulla all’infuori di quello che hanno ricevuto da Lui! Sono stati illuminati, presentano la loro conoscenza; sono stati liberati dal mondo, presentano la loro separazione passiva; sono stati visitati dalla Sua presenza, presentano la loro personale emozione.

Non hanno altro da presentare e credono di dare abbastanza a Dio facendo mostra delle esperienze che hanno fatto in Lui. Il fico maledetto da Gesù, l’albero sterile della vigna, la vigna stessa descritta da Isaia, ci ricordano in maniera altamente drammatica che Iddio non può accontentarsi di “vedere una pianta nella Sua vigna” e di “mirare un albero ricco di fogliame” o di annoverare dei “tralci che ben sembrano come gli altri, ma non portano frutto”.

Egli ha dato un corso, delle opportunità, un capitale, ora vuole il frutto e lo vuole abbondante e permanente. Un frutto è quello che noi dobbiamo a Dio, ma …. attenzione … Iddio vuole il frutto ed anche il capitale. La preoccupazione di portare il frutto non deve far cessare la preoccupazione di conservare il capitale perché se noi ci presentassimo nel cospetto dell’Eterno col frutto, ma senza capitale saremmo nella stessa condizione che se ci presentassimo col capitale sì, ma senza il frutto.

Il Signore approvo e benedisse quei servi che si presentarono davanti a Lui col doppio di quello che avevano ricevuto perché in quello che avevano nelle mani c’era il frutto ed il capitale. Immaginiamoci che l’ultimo servo, quello infedele, si fosse presentato per dire: Signore io ho un talento, è quel che ho guadagnato commerciando con il tuo capitale, ma purtroppo il capitale non c’è più, io l’ho perduto. Quale sarebbe stata la risposta del Signore? Sicuramente quella che troviamo nel messaggio alla chiesa di Efeso contenuto in Apocalisse 2:4 –

“Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza; so che hai costanza, hai sopportato molte cose per amor del mio nome e non ti sei stancato. Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore.”

Non vi sembra di udire lo Spirito di Dio che dice: “Io ti ho dato l’amore e mediante quel capitale tu hai prodotto molte opere ed io vedo le tue opere ma non invece più l’amore che le ha suscitate e prodotte”?

E quando ci sono i frutti senza il capitale; quando ci sono le opere senza l’amore, il lavoro del credente non vale molto davanti a Dio.

QUAND’È CHE SI RECA IL FRUTTO SENZA IL CAPITALE?

Guardiamo un poco a noi, a noi Movimento Pentecostale, per fare della lezione un’applicazione diretta che possa insegnarci profondamente il messaggio espresso da questo passo: Abbiamo frutti oppure abbiamo soltanto quello che abbiamo ricevuto, cioè soltanto il capitale celeste; o forse non abbiamo più il capitale ricevuto da Dio e parliamo soltanto dei frutti ?

I frutti ci sono, è possibile passare in rassegna i meravigliosi progressi e le colossali conquiste delle nostre chiese, del nostro Movimento.

La Pentecoste ha fatto passi in avanti, passi giganteschi che s’impongono alla stima e all’ ammirazione della cristianità; insomma la Pentecoste appare oggi nello splendore dei risultati del suo lavoro; del suo traffico. I frutti sono qui e sono evidenti ma abbiamo custodito e serbato il capitale?

Contempliamo ed ammiriamo pure le tante e belle Scuole Bibliche che sono sorte in America, in Europa, in Asia, in Africa; contempliamo ed ammiriamo pure la miriade di missioni che si sono iniziate nel mondo: questi sono i frutti nati dalla “Passione di Cristo”, cioè da quel fuoco divino che i padri della fede hanno sentito scendere di nuovo molti anni fa’, quando il risveglio è venuto.

La Passione di Cristo c’è stata data dal cielo quale capitale divino e da quel tesoro inestimabile sono nate le missioni, sono sorte le scuole; quell’ardore consumante acceso nell’anima dall’amore di Cristo ha suscitato un servizio evangelistico caldo, entusiastico: il bisogno di conquistare il mondo; di portare i perduti alla salvezza, i peccatori ai piedi della croce ha spinto gli operai cristiani in ogni luogo e sono nate le missioni nei posti più reconditi, nei paesi più inospitali fra le popolazioni più ostili.

Quella medesima passione ha portato in essere le Scuole Bibliche cioè quelle palestre cristiane necessarie ad appagare il desiderio di formazione spirituale o ministeriale delle giovani schiere; il bisogno di operai sempre più numerosi, di operai sempre più preparati è stato avvertito dalla “passione di Cristo”.

Oggi ci sono missioni e scuole e possiamo passare in rassegna all’immenso e stupendo lavoro compiuto che è il frutto della passione di Cristo, ma io chiedo quasi con agonia: “Il frutto è qui davanti a noi e soprattutto davanti a Dio, ma il capitale dov’è? C’è ancora quella passione ardente che ha prodotto questi stupendi risultati? La passione di Cristo è ancora nei nostri cuori, nella nostra vita nelle nostre chiese, nel nostro Movimento?

A me sembra di vedere che oggi la passione si è smarrita e pochi sono coloro che sanno ancora agonizzare per i perduti; quel fuoco bruciante che rendeva ogni pentecostale un missionario sembra coperto dalla cenere dell’indifferenza ed anche se si vuole fare del proselitismo, non si vede più o si vede raramente spasimare per strappare un peccatore dall’inferno.

Non basta lavorare per accrescere numericamente le chiese, è necessario soffrire per la reale salvezza dei perduti. C’è differenza fra conquistare ed aggiungere persone alla chiesa anche senza che abbiamo fatto un’esperienza di rigenerazione e strappare anime all’abisso. Quante missioni infatti rappresentano oggi soltanto un centro di cultura cristiana e quante Scuole Bibliche si sono trasformate in Istituti di avviamento professionale; perché?

Perché i frutti ci sono, sono evidenti, ma il capitale celeste forse non c’è più.

Attenzione! La presenza dei frutti, dei risultati l’evidenza del lavoro compiuto potrebbe velarci gli occhi fino al punto di non farci vedere che il capitale è perduto …. attenzione perché Colui che ci chiama per esaminarci vuole i frutti ma anche il capitale. Consideriamo brevemente un altro talento che è stato affidato da Dio al Suo popolo in questa generazione: l’amore!

Dall’amore di Cristo è nata la comunione fraterna, ma soprattutto, nella pratica cristiana, dall’amore di Cristo sono nate le opere sociali ed assistenziali. Quando il Movimento Pentecostale si è costituito in organismo ecclesiastico era povero, inorganizzato, privo di ogni risorsa, ma sotto la spinta dell’amore opere grandiose e meravigliose si sono compiute in pochi anni ed è bello, in questo Convegno, parlare degli orfanotrofi delle case di riposo, delle scuole di cultura; cioè e bello inventariare tutte quelle attività che hanno potuto sanare piaghe e sofferenze o che sono andate incontro alle necessità più imperiose ed urgenti del popolo.

Oggi queste opere sociali e assistenziali stanno davanti a noi come frutto dell’amore che Iddio, per lo Spirito Santo, ha sparso nel cuore del suo popolo, ma il capitale esiste ancora? Esiste ancora quell’amore divino dal quale queste opere sono nate, sono venute in esistenza? Non c’è forse pericolo che anche questi frutti divengano i frutti di una pianta artificiale, di radici artificiali ?

Dov’è l’amore ardente caratteristica umana del Cristianesimo e manifestazione principale del risveglio pentecostale? Siamo ancora una famiglia sola come al principio? Sappiamo ancora amarci fino al rispetto più profondo e al sacrificio più epico?

Vi ricordate quando siamo entrati nel risveglio della pentecoste: abbiamo ricevuto la medesima sensazione che si riceve fisicamente quando si entra in un luogo ospitale, dopo aver lottato con la bufera ed il freddo di fuori; il dolce tepore dell’amore ci ha avvolti col suo alito miracoloso e ha ridestato in noi la vita spenta dal gelo del peccato e del mondo.

Abbiamo subito veduto che stavamo nel mezzo dei discepoli del Maestro; l’abbiamo veduto dall’amore intenso che si portavano gli uni gli altri: quel vero affetto, quelle sincere premure, quella familiarità autentica, quella prontezza nell’aiuto, nel conforto, nella consolazione; quella comunione nella gioia, nella sofferenza ci hanno fatto chiaramente riconoscere che avevamo incontrato un popolo che aveva ricevuto il patrimonio dell’amore di Dio.

Fratelli da quel patrimonio, da quell’amore sono nate le opere assistenziali e sociali ed oggi esco qui davanti a mi le opere, i frutti, ma il patrimonio c’è ancora? Mi sembra che i nostri rapporti si siano notevolmente intiepiditi; la nostra comunione è diventata alquanto superficiale e formale ed in quanto alla familiarità trovo che non si allarga oltre il cerchio delle amicizie personali ed anche questa è più ispirata da convenienze sociali che non dalla carità di Cristo.

Possono i convertiti di oggi ritrovare fra noi il patrimonio che noi abbiamo trovato? Possono avvertire lo stesso benefico calore che ha avvolta e vivificata l’anima nostra quando siamo entrati nella Pentecoste?

Fratelli Iddio vuole il frutto, ma anche il capitale! Io penso ora ad un altro meraviglioso talento affidato da Dio al Movimento Pentecostale: la potenza! Le mie parole non possono illustrare la gloria e la grandezza di questo capitale celeste, ma voi che lo avete ricevuto, che b avete toccato, che lo avete anche trafficato sapete bene della soprannaturale eccellenza di esso.

La potenza spirituale è stata la ricchezza del Movimento Pentecostale fin dai primi giorni e se uomini senza mezzi, senza posizioni, qualche volta senza cultura hanno potuto mettere di nuovo il mondo sottosopra è stato proprio perché la potenza è scesa ancora una volta dall’Alto.

Potenza di parola, potenza di ministerio, potenza di opere … non ricordate anche voi quella potenza che travolse i ragionamenti degli avversari della Pentecoste, quella potenza che risuscitò i doni dello Spirito nella chiesa, quella potenza addirittura che rese superflui medici e medicine per il popolo di Dio?

Un fiume impetuoso è sceso dal Trono di Dio e fiumi di acqua viva sono sgorgati dal seno di un popolo credente e queste onde celesti si sono allargate ed hanno manifestata la gloria del cielo. Proprio come ai giorni della Pentecoste folle sono state attirate e conquistate da questa potenza e da quelle folle sono nate le comunità, le chiese locali e proprio come ai giorni della Pentecoste uffici, compiti e organizzazione sono venuti da questa potenza: voi ricordate i primi ordinamenti di Gerusalemme, le prime elezioni fra i santi di Gerusalemme, i primi diaconi, il primo convegno … Come allora, cosi in questi giorni, dalla Potenza sono venute le comunità, è nata l’organizzazione e le comunità fiorenti e numerose e l’organizzazione accurata ed efficace si presentano davanti a noi come il frutto della potenza Il frutto è qui, davanti a noi, bello, suggestivo .ma abbiamo conservato il capitale?

Possiamo presentare a Dio la rendita dei talenti ed assieme a quella anche i talenti che egli ci ha affidati?

Predicatori eloquenti non mancano certamente in questi giorni, e ministri abili non scarseggiano; sembra anche che i guaritori siano numerosi … eppure molti sono costretti a dichiarare “Fratelli abbiamo perduta la potenza!”

L’arte oratoria od i metodi psicologici, la formazione tecnica del ministerio, non hanno nulle in comune con la potenza dello Spirito Santo e noi non abbiamo ricevuto da Dio arte e tecnicismo, ma potenza divina.

Ai giorni dei Padri della Pentecoste non si aspettava un guaritore per esperimentare la virtù sonatrice perché in ogni gruppo, in ogni famiglia si sapeva esercitare la fede e realizzare la potenza necessaria per essere sanati. Attenzione, non voglio pronunciare un giudizio negativo sui doni delle guarigioni, ma voglio soltanto mostrare l’assenza di un patrimonio affidato da Dio alla chiesa. Non vi ricordate quando in una vita cristiana semplice, molto semplice, tutto era gloria, tutto era miracolo, tutto era potenza? I frutti della potenza sono belli e noi rimaniamo in ammirazione davanti alle migliaia e migliaia di comunità che sono sorte, si sono fortificate, accresciute ed anche arricchite. Ma se queste comunità, con tutta la loro ricchezza e la loro organizzazione, stanno per diventare una denominazione come tante altre, appoggiate su un fondamento che non c’è più con la gloria di un passato ormai irrimediabilmente tramontato, allora io Dico: Questo frutto non può compensare la perdita biblica del capitale.

Il frutto è bello e allettante, ma la potenza dov’è? Dov’è quel fuoco, quel vento impetuoso, quell’autorità divina che erano ieri nella Pentecoste? Iddio vuoi vedere il capitale, il Suo capitale!

Fratelli, forse troverete che questo messaggio suona come una lamentazione, ma chissà che il ministero di Geremia non sia più necessario e più opportuno di qualunque altro ministero in quest’ora?

No! Non possiamo sentirci tranquilli se nella nostra vita è assente il frutto dei talenti ricevuti da Dio: una vita sterile non è approvata dal cielo, ma non possiamo neanche sentirci tranquilli se ci presentiamo con le braccia piene di frutto e non abbiamo più quello che ci è stato affidato da principio. Quando l’Eterno ci chiama per comparire davanti al Suo esame, dobbiamo rispondere con la gioia del servo fedele che sa di essersi prodigato in una vita e in un lavoro fecondo, ma anche rispondere con la gravità dell’amministratore che ha saputo conservare gelosamente il deposito ricevuto dal cielo.

Fratelli, mentre in quest’ora Iddio ci chiama ad esaminare la nostra posizione, non lasciamoci eccessivamente entusiasmare dalla gioia della comunione fraterna o dalla soddisfazione del lavoro e dei risultati che possiamo relazionare, ma guardiamo se siamo i custodi dei talenti divini che l’Eterno ha largito al risveglio pentecostale.

La Pentecoste s’avvicina: cerchiamo un risveglio per il risveglio affinché possa essere rinnovato in noi il capitale di Dio e mettiamoci poi d’impegno a farlo di nuovo fruttare serbandolo anche con timorata diligenza nella nostra vita. Amen

 

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