sotto ce il testo scritto del video e poi ci sono i link che vi guideranno nel nostro lavoro in GESU CRISTO NOSTRO SALVATORE
E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità;”. Giovanni 1:14
Sono parole brevi ma sconfinate, che ci portano in alto sulle ali del mistero fino a farci provare una gioiosa vertigine. Esse si ispirano all’ardito Vangelo di Giovanni appena proclamato.
1. “E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi…“
Quale mistero! Mai nella storia umana è echeggiato un fatto uguale: il Signore dell’universo il Creatore del Cielo e della terra, ha assunto la carne mortale, ha abbracciato la nostra condizione umana. Gesù Cristo, il figlio eterno di Dio si è fatto esotico e ha percorso l’immensa distanza tra il Cielo e la terra, tra il Creatore e la Creatura. Ed è giunto! Ha posto la sua dimora in mezzo a noi, accanto alla vita di ogni uomo. Mistero incomprensibile dell’amore che si fa presenza e condivisione!
La venuta storica di Gesù non è stata una visita passeggera: Egli pianta la sua tenda accanto alle nostre, si stabilisce nel mondo per abbracciare dal di dentro la vita di ognuno e salvarla. In Lui si manifesta non un Dio qualsiasi, astratto e generico, ma il Dio dal volto umano che si fa parola sonante, diventa Vangelo; in Lui risplende la gloria del Padre.
E qual è la sua gloria? Non altro che amare perdutamente gli uomini; essere misericordioso verso tutti; offrirsi come la nostra felicità oggi e domani, per sempre. Da quel momento chiunque vuole ritrovare il senso della sua vita, gli è facilmente possibile, basta aprire gli occhi e accorgersi che Egli, il sommo Creatore per eccellenza, non si è mai allontanato dalla Sua Creature, oggi, la Sua preziosa presenza e ancora più tangibile per mezzo del Suo amato Figlio Cristo Gesù l’Emmanuelle che è benedetto in eterno. Ma noi desideriamo stare con Lui? E’ questa la domanda che dovremmo porci seriamente davanti al realtà della Sua grazia salvifica. Non permettiamo all’indifferenza egoistica di alimentare nel nostro animo, il cancro del disinteressamento spirituale.
2. “ ma a tutti quelli che l’ hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome“Giovanni 1:12
Queste poche parole pronunciano il fine ultimo della venuta di Cristo Gesù nel mondo, che oltre a portarci l’assoluta prossimità di Dio, ci permette di riacquistare quella dignità che il peccato ci ha portato via: attraverso l’opera di redenzione del nostro Signore Gesù Cristo, nel quale riceviamo la grazia di essere figli Suoi se lo riconosciamo Signore e Salvatore delle nostre anime, che supera di gran lunga l’essere creati a sua immagine e somiglianza. L’uomo, non solamente può ricevere la grazia del perdono e di conseguenza la salvezza dell’anima, ma in Cristo può ottenere l’adozione e abrogare la solitudine e calzare in diritto di essere adottato: ha un Padre. E’ questo il motivo di tanta gioia: la gioia diventa stupore grato, dono, servizio, annuncio a tutti “avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà” Efesini 1:5.
La fede cristiana rivela dunque non solo il vero volto del Dio-Amore, ma anche il vero volto dell’uomo. Il volto di Cristo, infatti, è inseparabilmente il volto di Dio nell’uomo e il volto dell’uomo in Dio. C’è oggi un grande bisogno di riscoprire chi è la persona umana che sembra essersi smarrita nel labirinto dei dubbi e del relativismo culturale. Cresce purtroppo una visione puramente naturalistica e materialistica dell’essere umano, giungendo quasi a sopprimere la differenza qualitativa tra noi e il resto della natura. Si tende così ad eliminare la dimensione spirituale e trascendente della persona fino a identificare Dio con le forze del cosmo. Ma così si espone l’uomo a diventare mezzo e non fine, oggetto a disposizione di strumentalizzazioni di tipo tecnologico o scientifico, politico o religioso.
Possiamo giustamente dire che per mezzo della venuta del nostro Signore e salvatore Gesù Cristo, sul piano della fede nasce la salvezza e sul piano umano inizia quell’umanesimo integrale che sarà il centro della spiritualità nel cuore dei cristiani e che ancor oggi – nel Suo popolo – costituisce l’ethos sostanziale, cioè il modo di sentire la vita, la morte, gli altri. Di questo messaggio Evangelico Cristiano siamo tutti destinatari, custodi e messaggeri. Il Vangelo Annunciato e ricevuto nella sua totalità della Sua essenza, potrà continuare ad essere lievito di umanesimo e di civiltà, se questa potenza Evangelica non sarà ridotto a pia tradizione, a un ricordo nostalgico, o peggio a museo della storia; ma sarà vissuto e testimoniato dai cristiani nella coerenza della loro vita privata e pubblica, consapevoli che molti valori nel campo della vita e della famiglia, della concezione della persona e dello Stato, anche se sono illuminati dalla fede, sono parte del bagaglio della buona ragione.
“ma a tutti quelli che l’ hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome”. Queste parole Divine ispirate dallo Spirito Santo all’apostolo, che esaltano mirabilmente la sublime gratitudine dell’amore di Dio verso la Sua creatura, assumono un atteggiamento degno di essere considerate e ritenute. Il dono assolutamente gratuito dell’amore di Dio non elimina né attenua la libertà dell’uomo che ne è destinatario. Al contrario, questa libertà la esige e la sollecita. Qual è la nostra risposta? L’accoglienza della signoria del divino Evangelo non è pesante, ma dolce.
Carissimi, guardando il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, ascoltando e ritenendo nel nostro cuore le sublime parole che Esso ci suggerisce, non possiamo non rientrare nel numero di quelli che “Lo hanno ricevuto”, e godere il privilegio di esse “suoi figli” senza trascurare la responsabilità di valorizzare la dignità che essa comporta.
La Certezza della Salvezza
Nessun credente può svilupparsi nella conoscenza delle cose di Dio se manca della certezza della propria salvezza. In una gara di tiro alla fune è essenziale per i giocatori di essere saldi se vogliono mantenere la presa (Fil.4:1; Gal.3:5; 1.Cor16:13). Il Cristiano è un credente. Come Paolo egli può dire: << Io ho fede in Dio che mi avverrà come mi è stato detto>> (Atti 27:25). La sua sicurezza è fondata su quando segue.
Per prima cosa egli ha dato fede a Dio per ciò che gli concerne.
La fede rimodella i pensieri profondi, le credenze segrete, e trasforma il comportamento affettivo e il patrimonio intellettuale, non è vincolata dalla razionalità anzi, la supera. Non ci si aspetta di capire per credere, ma si crede per poter capire. Così l’intelligenza è attiva nella scoperta del piano della grazia di Dio che si concentra su Gesù Cristo. Lui è «il primo e l’ultimo», l’uomo umiliato e il Figlio del Dio eterno. Il Signore, non è un Dio a misura d’uomo, un prodotto delle idee o della fantasia umana. Egli è l’Iddio i cui i pensieri oltrepassano totalmente ciò che l’uomo posso immaginare. Per questo è necessario, abbandonare la pretesa di fare della ragione il giudice finale. È indispensabile ascoltare umilmente il Signore. Egli parla per mezzo della Bibbia; se si ha fiducia in quello che dice, anche intelligenza sarà soddisfatta, per questo si può confermare che, il cristiano ha creduto, cioè, di essere peccatore e bisognoso di perdono; di essere perduto e bisognoso di salvezza; consapevole e sprovvisto della grazia Divina; cieco e necessitante di luce; scacciato e privo di riconciliazione; malato e bisognoso di medico; morto è bisognoso di vita (Rom. 3:10-19,23; Ef.2:1-8).
Secondo, ha avuto fede in Dio per ciò che riguarda Cristo.
Il cristiano sa bene che il Signore, non chiede «opere», ma «fede ». ed è questa che lo porta a credere che Dio lo ha amato e lo ama tuttora, ha compreso che il sacrificio di Cristo ha soddisfatto la santità di Dio. Accettare con fede il sacrificio del Signore vuol dire credere senza avere alcun dubbio che Egli è morto sulla croce per i peccati del mondo. La fede non dubita, non discute; la fede prende Dio in parola. «Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato» (At.16:31): ecco la meravigliosa promessa della grazia di Dio. «Poiché è per grazia che voi siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi;è il dono di Dio» (Ef.2:8). Cristo Gesù è il Salvatore del mondo, lo ha insegnato Cristo stesso, è stato predicato dagli apostoli. L’Evangelo è chiamato anche: «La parola della fede» (Rom.10:8) perché promette il perdono di Dio e la vita eterna a chi crede in Gesù Cristo. « avendo pur nondimeno riconosciuto che l´uomo non è giustificato per le opere della legge ma lo è soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù, abbiamo anche noi creduto in Cristo Gesù affin d´esser giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della legge, poiché per le opere della legge nessuna carne sarà giustificata» (Gal.2:16). Il Signore per mezzo di Cristo converte i cuori. La conversione è un cambiamento di direzione, il rinnovamento della mente e dei pensieri. Infatti, prima di conoscere la Bibbia che mette a nudo lo stato di peccato, c’è nel cuore dell’uomo l’indifferenza, Ma quando arriva la Sacra Parola, lo Spirito Santo, illumina, tocca le coscienze e rende chiara la perversa condizione dell’anima. Allora le opinioni cambiano. Quello che prima si faceva con disinvoltura, adesso turba; il male che prima si valutava con leggerezza, adesso si è portati a riflettere.
Terzo, ha creduto in Cristo
Quando, questi, viene raggiunto dallo Spirito Santo, inizia l’opera di convincimento, il credente confessa di essere un peccatore perduto e colpevole, egli ha creduto che Cristo portò i suoi peccati sulla croce e mori al suo posto; accettandolo per fede una volta per tutte come salvatore personale e Signore della propria vita (1.Giov.1:12; 10:9-10). Per il credente è perciò un beneficio il sapere, basandosi sull’autorità della Bibbia, che è salvato (atti 16:31; Ef.2:8), che fruisce la vita eterna (Giov.3:16) e la sicurezza per ciò che riguarda l’avvenire (Giov.10:27-30). La Sacra Bibbia non menziona mai di qualche cosa come “il sentimento di essere salvati” ma della certezza di essere salvati. Questa consapevolezza è basata interamente sulla Parola di Dio, che dichiara: “io vi ho scritto queste cose affinché sappiate che avete la vita eterna, voi che credete nel nome del figliolo di Dio” (1.Giov.5:13). Questa conoscenza, o sicurezza, reca gioia al credente. Perciò la Bibbia stessa ci mostra le nostre necessità di peccatori e rivela Cristo come il salvatore che ci è necessario, dando a colui che crede la certezza della salvezza e della sicurezza in lui. L’opera di Cristo sulla croce assicura la nostra salvezza e la parola di Dio, ce ne da la certezza.
L’insegnamento in parabole è un metodo didattico che consiste nell’esporre le verità spirituali con illustrazioni tratte dalla vita ordinaria. Osservando le azioni comuni che si verificano sotto i nostri occhi quotidianamente, possiamo dilettarci delle cose di Dio. Quando le nostre mani sono occupate dagli affari terreni, possiamo con la nostra mente meditare quelle verità ed essere guidati con il nostro cuore nei cieli. Così la Parola di Dio “camminerà” con noi, camminerà familiarmente con noi (Proverbi 6:22).
La Parabola del Seminatore
(Matteo 13:4-9, 18-23; Marco 4:3-8, 14-20; Luca 8:5-8,11-15)
In questa parabola riportata dai tre Vangeli sinottici, vengono presentate cinque verità celesti racchiuse in questi cinque elementi: (1) il seme; (2) il seminatore; (3) i diversi tipi di terreno; (4) i nemici del seme; (5) i risultati.
1. Il Seme
Il seme sparso dal seminatore è la Parola di Dio, che in Matteo viene chiamata “la Parola del Regno” (v. 19), in Marco è detta “la Parola” (v. 14) e in Luca “la Parola di Dio” (v. 11).
A. Un seme che proviene dal cielo
L’Evangelo non viene dai regni del mondo (Matteo 4:8), ma dal Regno dei cieli (Giovanni 6:33; Matteo 4:4) e conduce a quel Regno (Giovanni 6:50).
La parola dell’Evangelo è la parola del Regno dei cieli. E’ la parola del Re dei cieli e dove questa parola è predicata c’è potenza (Ecclesiaste 8:4). Essa è una “legge” che ci deve guidare e governare (Deuteronomio 30:14; Proverbi 16:20).
B. Un seme che feconda il cuore
Il seme è quella parte del frutto derivata dall’ovulo fecondato e contenente l’embrione, capace di produrre una nuova pianta. Quindi il germe già contiene in sé la vita, che si svilupperà nel momento in cui cadrà nel terreno. Questa illustrazione è molto significativa in quanto ci descrive minuziosamente l’opera che la Parola compie quando viene ricevuta con fede da un cuore fertile (Isaia 55:10,11).
Dagli increduli e dai profani la Parola è considerata insignificante e priva di vita, così come un seme può sembrare morto e secco; tuttavia come nel seme è misteriosamente nascosta la vita, così nella Parola di Dio è racchiusa la salvezza (Colossesi 1:5,6).
C. Un seme incorruttibile
La parola di Dio non perde mai la sua forza ed efficacia (Marco 13:31). Alcuni tipi di semi riescono a conservare la capacità di svilupparsi anche dopo molto tempo senza divenire infruttuosi. Comunque oltre quel periodo di fecondità il seme perde la sua facoltà di germinare e diviene inefficace. Attenzione: la Parola di Dio è eterna ma dopo averla ricevuta deve poter “fecondare” il nostro cuore (Gioele 1:17; Ebrei 4:2).
D. Un seme unico
Nell’Antico Testamento Dio aveva comandato al popolo di non seminare nello stesso campo due tipi di seme diversi. Gli insegnamenti della Parola di Dio non possono essere annacquati con discorsi di sapienza umana o con ragionamenti filosofici (Levitico 19:19; I Corinzi 2:4; II Corinzi 2:17).
2. Il Seminatore
Il seminatore che sparge il seme è principalmente il nostro Signore Gesù (Matteo 13:3,37); poi i Suoi ministri (I Corinzi 3:6-8); ed infine tutti i credenti (Atti 8:1-4). Il popolo di Dio è un popolo di “agricoltori”, che dissoda, ara, semina e coltiva il “campo” di Dio e ne raccoglie i frutti (Giovanni 4:35-38).
3. I diversi tipi di terreno
I diversi terreni dove il seme della parola di Dio è piantato rappresentano i cuori degli uomini, i quali possono, in grado differente, essere fertili: quindi idonei e permettere al seme di svilupparsi; oppure aridi e lasciare che il seme perda la sua efficacia (Matteo 13:22). Perciò anche i risultati prodotti dalla Parola di Dio saranno differenti: “l’uno rende il cento, l’altro il sessanta e l’altro il trenta” (Matteo 13:23).
Notiamo che il cuore è simile ad un terreno: capace di perfezionarsi e portare frutti migliori (Giovanni 15:2) o rimanere incolto come il campo di un pigro (Proverbi 24:30,31). Il cuore è il posto migliore dove la Parola deve dimorare affinché lo lavori e lo governi; essa opera sulla coscienza per illuminarla e renderla sensibile. Quindi secondo il tipo di terreno che siamo, così la Parola opererà in noi. “Recipitur ad modum recipientis”: Il ricevere dipende dal ricevente!
In questa parabola il cuore è rappresentato da quattro specie di terreno, di cui tre sono cattivi e solo uno è buono. Notiamo che il numero degli ascoltatori infruttuosi è molto alto: “Chi ha creduto a quello che abbiamo annunziato?” Isaia 53:1, (come percentuale è la terza parte). E’ un triste prospetto che questa parabola presenta a proposito di coloro che ascoltano la predicazione della Parola: uno su quattro porterà frutto. Molti sono chiamati alla salvezza, pochi sono quelli che saranno salvati (Matteo 22:14).
a. “La strada” (versi 4-10)
Il seme che cadde su questo “terreno” non riuscì mai a penetrarvi e così fu mangiato dagli uccelli. Osserviamo:
1. Il tipo di persone: “ascoltano la Parola e non la comprendono”, questo è il loro difetto (Osea 6:6). Essi non prestano attenzione alla Parola, non l’afferrano e non la ritengono nel cuore (Salmo 119:11). Costoro vengono alla presenza di Dio come il Suo popolo viene e siedono davanti a Dio come il Suo popolo siede, tuttavia lo fanno per abitudine: per vedere ed essere visti; non badano a ciò che ascoltano e la Parola entra per un orecchio ed esce dall’altro senza fare alcuna impressione.
2. Vengono per essere ascoltatori smemorati. Il maligno viene e porta via quello che è stato seminato (Matteo 13:18 Marco 4:15 Luca 8:12). Tutti gli ascoltatori disinteressati, pigri, negligenti sono una facile preda per satana; egli che è un assassino delle anime, è anche un ladro di sermoni. Sicuramente ruberà la Parola a coloro che non la ritengono, come gli uccelli mangiano i semi lungo la strada. Lasciamo che i nostri cuori duri si rompano ascoltando la predicazione della Parola di Dio, e per mezzo della meditazione e della preghiera portiamo frutto per la gloria di Dio. Uniamo la meditazione all’esame del nostro cuore, ponendoci delle domande, dicendo a noi stessi: “Così stanno le cose, o anima mia è così che ti comporti? Sono questi i tuoi desideri, le cose che ami e che ricerchi?
(B.) “I luoghi rocciosi”
“Un’altra cadde in luoghi rocciosi dove non aveva molta terra; e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo; ma, levatosi il sole, fu bruciata; e non avendo radice, inaridì” (Matteo 13:5,6).
I luoghi rocciosi rappresentano una seconda categoria di ascoltatori. Forse rispetto a quelli che ricevono il seme (la Parola) lungo la strada e subito lo perdono perché viene mangiato dagli uccelli (portato via dal maligno), questi ultimi si trovano avvantaggiati perché ricevono qualche buona impressione dalla Parola, tuttavia non sono costanti e lasciano che il seme inaridisca (Matteo 13:20,21). Osserviamo ciò che concerne questo tipo di ascoltatori:
1. Quanto lontano vanno
Questi non rifiutano di ascoltare la Parola, anzi la ricevono con entusiasmo. Dopo averla udita non girano le loro spalle rifiutandola e sembra che ottengano anche dei primi risultati: “subito spuntò”, proprio come accade al seme che cade nella buona terra e porta frutto. Spesso, costoro ottengono un inizio simile a quello dei veri credenti nel manifestare la loro “professione di fede”, e a volte pare che sono anche “desiderosi” di realizzare le verità divine. Ma la realtà è invece un’altra: ricevono il seme della Parola frettolosamente senza sperimentarlo; lo ingoiano senza masticarlo e non riescono mai a “digerirlo” (I Tessalonicesi 5:21). Per esaminare occorre meditare, solo così si può ritenere il bene e fuggire dal male.
Notiamo che alcuni ricevono la Parola con gioia quando ascoltano un buon sermone, ma non traggono profitto da ciò che ricevono; sono contenti per la Parola udita, tuttavia non realizzano un cambiamento e una guida da essa. Il cuore si può sciogliere ascoltando la Parola, e tuttavia non essere modellato dall’azione della Parola (Geremia 18:3, 4).
Altri gustano la Parola di Dio e la trovano dolce, ma non permettono che scenda nel cuore e quindi la nascondono sotto la loro lingua. Così appena non sono d’accordo con la Parola la respingono di nuovo fuori (Ebrei 6:5).
Altri sono di “corta durata”. Simili a una valanga di neve che precipita dando l’impressione di non doversi mai fermare, ma quando arriva a valle non si muove più. Questi durano poco e non giungono alla fine (Matteo 10:22); per un tratto di strada corrono anche bene, ma poi inevitabilmente si fermano (Galati 5:7)
2. Quanta crescita realizzano
Costoro cominciano subito a declinare e il loro frutto non giunge a perfezione. Non cadendo in un terreno profondo da cui trae nutrimento, il seme viene bruciato dal sole e si inaridisce. Le ragioni sono diverse:
a. Non hanno radici, nessuna fermezza nelle vie di Dio, non hanno solide basi su cui fondare la loro fede, non hanno una volontà risoluta, senza principi biblici. è possibile che ci sia una professione di fede immatura senza le radici della grazia, senza essere uniti a Cristo. Dove non c’è fermezza, sebbene ci sia una professione di fede, non ci potrà essere perseveranza. Quelli che non hanno radice dureranno, ma poco. Una nave senza ancore (fermezza) potrà navigare, ma non giungerà mai in porto.
b. Il tempo delle prove viene: “quando giunge la tribolazione o la persecuzione a motivo della parola, è subito sviato” (Matteo 13:21). La Parola del regno di Cristo viene per essere la “Parola di consolazione e di pazienza” (Rivelazione 3:10), ma a causa di questa Parola vengono anche le persecuzioni (Apocalisse 1:9).
“Un’altra cadde tra le spine; e le spine crebbero e la soffocarono” (Matteo 13:7).
Le spine sono una ottima custodia e possono essere anche utili quando formano una siepe intorno al grano per proteggerlo, ma sono una cattiva compagnia quando sono nel campo e crescono insieme al grano.
“Le spine crebbero”. Quando il seme fu sparso le spine erano sotto terra e non si vedevano, oppure erano appena spuntate dal suolo ed erano così piccole da non destare preoccupazione. Ma con il trascorrere del tempo crebbero e soffocarono il grano.
Questo tipo di terreno va ancora più oltre del precedente: accoglie il seme ma non gli offre abbastanza terra affinché le radici possano crescere. Notiamo la sequenza esposta da Cristo in questa parabola:
1. il primo terreno (“lungo la strada”) non permette al seme di germinare perché viene subito portato via e mangiato dagli uccelli; una perdita istantanea;
2. il secondo terreno (“i luoghi rocciosi”) facilita la crescita del seme ma non essendoci molta terra le radici non riescono a scendere in profondità; una crescita frettolosa senza fondamento;
3. il terzo terreno (“i luoghi spinosi”) offre al seme la possibilità di una vera crescita, ma insieme ad elementi estranei e soprattutto dannosi che impediscono al grano di giungere a maturazione; una crescita che è una beffa.
Cosa rappresentano queste spine che soffocano il grano?
“Quello che ha ricevuto il seme tra le spine è colui che ode la parola; poi gli impegni mondani e l’inganno delle ricchezze soffocano la parola che rimane infruttuosa”. (Matteo 13:22).
Il “terreno spinoso” rappresenta coloro che ricevono la Parola, ma si lasciano ancora attirare e adescare dai piaceri del peccato e dalle concupiscenze mondane. Costoro gustano le benedizioni divine ma non sono disposti a liberarsi di tutte le cose che possono impedire o danneggiare l’opera di Dio nella loro vita (Ebrei 11:25,26). Le cure mondane e il peccato soffocano la Parola di Dio nel loro cuore e la distruggono. I nostri tre acerrimi nemici: gli uccelli (il diavolo) mangiano il seme, le pietre (la superficialità) rovinano le radici, le spine (il peccato) distruggono il frutto.
1. “Gli impegni mondani” (La Versione Riveduta: “le cure mondane”).Gli impegni per l’altro “mondo” possono affrettare la crescita del seme, ma le cure per questo mondo lo soffocano. Le cure mondane sono paragonate alle spine, perché esse originariamente vennero dopo che il peccato entrò nel mondo e sono la conseguenza della maledizione (Genesi 1:11 cfr. 3:17,18). Esse sono utili per riempire uno spazio, ma l’uomo deve fare molta attenzione se non vuole pungersi (II Samuele 23:6,7). Come accade a chi cammina tra i rovi, può rimanerne impigliato, sopraffatto, oppresso, ferito, così il mondo cerca di trattenerci nella sua rete per spogliarci dei beni celesti (Ebrei 6:7,8). Queste spine soffocano il buon seme. Nota che le cure mondane sono un grande ostacolo perché privano l’anima di forze che potrebbero invece essere investite per le cose divine (Romani 5:6).
2. “L’inganno delle ricchezze”. Qui Gesù mette in guardia dal pericolo di cadere nella trappola delle ricchezze (Geremia 5:4,5). Bisogna precisare che la Parola non condanna le ricchezze, ma l’amore per esse (I Timoteo 6:10). L’avarizia è un peccato che la Bibbia denuncia (Luca 12:15-21). Esaminiamo il nostro cuore in preghiera alla presenza di Dio, ora!
D. La buona terra
“Un’altra cadde nella buona terra, e portò frutto, dando il cento, il sessanta, il trenta per uno” (Matteo 13:8).
Finalmente il “buon seme” si incontrò con il terreno fertile e così non venne perduto. Questi sono gli ascoltatori che ricevono la Parola con il cuore ben disposto e ne fanno profitto: “Ma quello che ha ricevuto il seme in buona terra, è colui che ode la parola, e la comprende; egli porta del frutto e, così, l’uno rende il cento, l’altro il sessanta e l’altro il trenta” (verso 23). Notiamo che sebbene ci siano molti (la strada, i luoghi rocciosi, i terreni spinosi) che ascoltano la Parola di Dio senza lasciarla operare in loro, tuttavia Dio ha un “restante” che la riceve con uno scopo buono: perché la parola di Dio non torna a vuoto (Isaia 55:10,11).
Ora ciò che distingue questo buon terreno dagli altri, è il fatto che è un terreno fruttifero. Da questo i veri cristiani sono distinti dagli ipocriti, questi hanno sole le forme della cristianità, quelli, invece, portano frutti di giustizia, “così sarete miei discepoli” (Giovanni 15:8). Qui Gesù non dice che questa “buona terra” non aveva pietre seppellite in essa, o che era privo di spine, ma nessuna di queste cose prevalse sul seme ostacolandone la crescita e impedendone il fruttare. In questo mondo i santi non sono esenti da errori o da cadute, neanche sono immuni dal peccato, ma grazie a Dio sono stati felicemente liberati dal suo dominio (Romani 6:11-14 cfr. I Giovanni 2:1).
Gli ascoltatori rappresentati da questa buona terra sono:
1. Ascoltatori intelligenti
Essi ascoltano la Parola e la comprendono! Non solo comprendono il significato e il senso della Parola, ma l’opera che Dio vuole fare in loro: “però, secondo la tua parola getterò le reti” (Luca 5:5). (Dopo aver pescato tutta la notte senza prendere un pesce, non è facile convincere un pescatore a gettare di nuovo le reti in mare, sicuramente!). Attraverso la sua Parola, Dio si rivolge a noi in modo razionale (per convince la nostra mente stimolandola a pensare secondo i suoi pensieri), guadagnando i nostri affetti (desidera prendere possesso dei nostri sentimenti), e piegando la nostra volontà (ci persuade a fare come Egli vuole) (Ebrei 4:12). Satana che è un ladro e un brigante non entra per la porta, ma cerca di arrampicarsi da una altra parte.
2. Ascoltatori fruttiferi
Il portare frutto è una prova che hanno “ ben compreso” la Parola. Il frutto è la testimonianza che ogni seme ha raggiunto il suo proprio scopo, un sostanziale risultato prodotto nel cuore e nella vita in armonia con il seme della Parola ricevuta (Luca 13:6-9).
Nota che i semi sono vari e da ognuno nascerà un frutto secondo la sua specie (Matteo 3:8; 7:17; 12:33). Si porta frutto quando si opera secondo Parola di Dio, quando il carattere della mente e il tenore della nostra vita sono conformi all’Evangelo che abbiamo ricevuto.
Per mezzo della Sua Parola Dio insegna, consiglia, guida e modella (Giovanni 15:2), ma se non si porta frutto ci sarà una triste conseguenza: (Matteo 21:19).
3. Non tutti portano la stessa quantità di frutti
Alcuni il cento, altri il sessanta, altri ancora il trenta per uno. Tra i cristiani alcuni sono più fruttiferi di altri; dove c’è la vera grazia ci sono anche vari gradi di essa. Alcuni hanno acquisito una maggiore conoscenza spirituale rispetto ad altri, alcuni manifestano una maturità spirituale più grande di altri, alcuni hanno raggiunto una santità più elevata di altri. Come non tutti gli atleti sono allo stesso grado di preparazione, così non tutti i cristiani portano la stessa quantità di frutti. Perciò miriamo ai “gradi alti” (qualsiasi militare che sceglierà questo tipo di vita, vorrà non restare sempre soldato), al portare il cento per uno di frutti come fece Isacco (Genesi 26:12), abbondanti nell’opera del Signore (I Corinzi 15:58), perché questa la volontà di Dio che portiamo molto frutto (Giovanni 15:18). Ma se il terreno è buono, il frutto è giusto, il cuore onesto e la vita consacrata quelli che portano il sessanta o il trenta per uno, saranno accettati da Dio perché siamo sotto la grazia e non sotto la legge.
Infine Gesù chiude la parabola con un solenne invito all’attenzione: “Chi ha orecchi per udire oda” (verso 9). L’atteggiamento di chi ascolta la divina Parola non deve essere superficiale.
Nel giudicare altri, si giudica se stessi
«Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Luca 6,37).
È possibile mettere in pratica questa parola del Vangelo? Non è forse necessario giudicare, se non ci si vuole arrendere di fronte a ciò che non va? Ma questo appello di Gesù si è profondamente inciso nei cuori. Gli apostoli Giacomo e Paolo, del resto così diversi, vi fanno eco quasi con le stesse parole. Giacomo scrive: «Chi sei tu che ti fai giudice del tuo prossimo?» (Giacomo 4,12). E Paolo: «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo?» (Romani 14,4). Altre volte la parola “giudicare” significa distinguere, decidere, determinare, concludere, provare, e mettere in questione. Dio vuole che i credenti lo facciano e con amore, specialmente quando devono verificare se una predicazione o un insegnamento sia in linea con la Sua Parola. Paolo scrisse: “E prego che il vostro amore abbondi sempre più in conoscenza e in ogni discernimento, perché possiate apprezzare le cose migliori, affinché siate limpidi e irreprensibili per il giorno di Cristo” (Filippesi 1:9,10). Il Signore Gesù ci comanda ed ammonisce dicendo: “Guardatevi dai falsi profeti i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma dentro son lupi rapaci” (Matteo 7:15).
Nel giudicare altri, si giudica se stessi. Quale profondo e smisurato senso di rammarico possiamo provare quando la nostra reputazione è sulla bocca degli stolti, non trova che infamia e crudeltà. L’uomo timoroso di Dio non prova altro che onorare Dio e di conseguenza la Sua creatura. Non parla mai male degli altri, non criticare ma rispetta l’altrui anche se a volte non condivide il suo modo di parlare o vivere. Non siamo chiamati per distruggere ma, per costruire. Coloro che sono ripieni dello Spirito Santo, costruiscono, con il rispetto dovuto all’uomo. Con la saggezza venutaci da Dio, ma soprattutto con la preghiera di intercessione per tutti gli uomini. Non giudicare: questa è un’affermazione secca e tipicamente evangelica. Fuori di questo contesto, facilmente sentiremo dire: non giudicate male, non siate severi nel giudicare, non giudicate quando non vi riguarda la cosa o la persona. Gesù dice “non giudicare“: perché è impossibile che tu sia perfetto e di ogni imperfezione sarai giudicato e c’è una sola condizione per non essere giudicato sulle tue imperfezioni: quella di non giudicare nessuno. Sembra che Dio voglia lasciarsi legare le mani.
Nel giorno del giudizio Io non ti giudico se tu non hai giudicato. Vale a dire non ti posso condannare se tu non hai condannato; ma se tu hai condannato e mi chiedi di non condannarti io debbo applicare la legge che hai applicato tu: ti debbo condannare. Non giudicare e non sarai giudicato questa è l’ammonizione provvidenziale perché non c’è niente di più facile per noi che giudicare come non c’è niente di più antipatico, perfino odioso, che sentirsi giudicati e quando dico sentirsi giudicati intendo dire che veniamo disapprovati, rifiutati; comunque veniamo messi sulla bilancia e ritenuti negativi, anche se il giudizio, tutto sommato, alla fine può essere non molto pesante. Se volete giudicare, volete proprio sbagliare, ricordatevi il metro che userete sarà usato con voi. Non giudicate affatto e non sarete giudicati, ma se giudicate con misura generosa così sarà applicata a voi la misura. Questo nello stesso tempo ci dà respiro, ci solleva perché avremo modo di sfuggire al giudizio severo di Dio. Il nostro punto di riferimento, come sempre, è il Vangelo, il nostro codice di vita cristiana. Nel sermone sul monte Gesù sancisce a chiare lettere “Non giudicate e non sarete giudicati”, poi aggiunge che la misura che usiamo nei confronti degli altri sarà usata dal Signore nei nostri confronti; infine raccomanda di essere misericordiosi, se vogliamo avere anche noi misericordia.
Evidentemente le parole di Gesù riportate dal Vangelo hanno un significato molto importante: il giudicare equivale a non condannare. Quindi non è l’esercizio di un giudizio, ma dover decidere se una cosa è buona o non è buona. Indirettamente il Signore ci fa capire che per esprimere un parere dobbiamo sempre riferirci a lui, perché è bene ciò che è bene secondo il suo insegnamento, è male ciò che è contrario a ciò che ha predicato con la sua vita terrena.
E questo perché ogni giudizio è dato al Figlio di Dio. Non solo, Gesù ha il diritto che gli viene dal Padre, perciò nessuno può arrogarsi questo diritto. Ma non solo, esiste anche un motivo di equità, di coerenza per non giudicare. Ed è sempre Gesù che ci rammenta di evitare ogni forma di giudizio nel senso di condannare, ricordando la famosa frase “Se vedi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello non devi condannare e dire permettimi di toglierti la pagliuzza, quando invece abbiamo una trave nell’occhio“; perciò, Leviamo prima di tutto la trave che oscura i nostri occhi, solo allora saremo in grado di dire ai nostri fratelli di togliersi la pagliuzza.
Confessare e abbandonare
“Chi copre le sue colpe non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia”
( Prov.28:13).
Le condizioni per ottenere la misericordia di Dio sono semplici, giuste e ragionevoli. Il Signore non vuole che noi facciamo cose che richiedano gravosi impegni e immani fatiche per ottenere il perdono dei nostri peccati. Non e necessario fare lunghi e stressanti pellegrinaggi né penose penitenze per raccomandare le nostre anime al Signore del cielo o per espiare le nostre colpe, perché basta soltanto confessare e abbandonare i nostri peccati per ottenere la sua misericordia mediante il Sangue di Cristo Gesù. l’apostolo Giacomo scrive: « Confessate dunque i vostri peccati gli uni agli altri…» (Giac.5:16).
Confessiamo i nostri peccati a Dio che è il solo che può cancellarli, e se abbiamo fatto dei torti ai nostri simili, confessiamoli loro. Se abbiamo offeso qualcuno e necessario riconoscere di fronte a lui che abbiamo sbagliato: sarà suo dovere perdonarci. Solo allora potremo ricercare il perdono di Dio, perché il nostro fratello da noi offeso è una sua creatura, e facendo del male a lui noi pecchiamo nei confronti del suo e nostro Creatore e Redentore. Il caso allora viene portato dinanzi al vero ed unico mediatore tra Dio e gli uomini, il nostro Sommo Sacerdote per eccellenza che «è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato» è che « non è incapace di soffrire come noi per le nostre miserie» (Eb.4:15).
Stando alla dirittura di proverbi 18:13 è chiaro che per un anima bisognosa di perdono non basta confessare il proprio peccato ma è necessario abbandonarlo, e tutti quelli che non si abbassano di fronte a Dio riconoscendosi peccatori, e perché non hanno ancora ottemperato alla prima condizione per essere accettato da lui. Se non si è fatta l’esperienza di un sincero pentimento di cui non ci pentiremo mai; se non ci si è umiliati fino al profondo della nostra anima, addolorati nello spirito, confessando e abbandonando i nostri peccati e le nostre iniquità, non si può dire di avere ricercato veramente il perdono, e di conseguenza non si può gustare la pace di Dio nel cuore. Il solo motivo per cui molti non sono perdonati dai loro peccati commessi nel passato, è perché non si sono umiliati, ottemperando così alla condizione propostagli dalla Parola di Dio. Forse avranno confessato il loro peccato ma di sicura non l’hanno mai abbandonato. La Sacra Bibbia ci da esplicite istruzioni a questo proposito:
1. La confessione del peccato, dove essere sentita e liberamente espressa.
Perché la confessione possa essere valida non deve essere fatta con leggerezza e superficialità, soprattutto se strappata a forza da coloro che ancora non hanno messo a fuoco la realtà crudele e degradante del peccato. La confessione che sale spontanea dall’intimo di un’anima affranta, giunge sicuramente al Signore che è ricco in misericordia « Il SIGNORE è vicino a quelli che hanno il cuore afflitto, salva gli umili di spirito» (Sal.34:18).
2. La confessione non può essere generica, deve avere un carattere di specificità e di identificazione del peccato.
Ci possono essere degli errori che vanno presentati e confessati a Dio soltanto; altri, invece, a quelle persone che li hanno subiti da parte nostra con sofferenza. Ci sono poi quelle trasgressioni di carattere pubblico che devono essere confessate pubblicamente. Ogni tipo di confessione comunque deve essere precisa e ben definita, bisogna comprendere la dichiarazione del peccato specifico di cui ci si e resi colpevoli e con animo affranto chiedere a Dio la forza di abbandonarli « …deposto ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, corriamo con perseveranza l’arringo che ci sta dinanzi, riguardando a Gesù, » (Eb.12:1).
Gli israeliti al tempo di Samuele, si allontanarono da Dio e subirono le conseguenze del loro peccato. La fiducia nel Signore ormai era svanita e di conseguenza non riuscivano più a discernere la sua potenza e la sua saggezza nel governare le nazioni; la fiducia nella sua capacità di difendere e di rivendicare la sua stessa causa ormai era svanita, e cosi si affidarono a un governatore umano per essere simili alle altre nazioni confinanti volgendo le spalle al grande Re dell’universo. Prima che la pace si ripristinasse nell’intimo del cuore, fecero questa chiara e precisa confessione: «…poiché a tutti gli altri nostri peccati abbiamo aggiunto il torto di chiedere per noi un re » (1 Sam.12:19).
Avevano peccato d’ingratitudine nei confronti di Dio; questa trasgressione di cui si erano macchiati e di cui si erano convinti, era un peccato che li aveva portati lontano da Dio, doveva essere confessato.
3. La confessione non può essere accettata da Dio se non è accompagnata da un sincero pentimento e da una determinata trasformazione.
Ogni vero credente è consapevole del suo cambiamento; infatti tutti quelli che si accostano con sincero pentimento al trono della grazia di Dio non sono modificati ma trasformati, essi avvertono un sincero e profondo rammarico per avere commesso il peccato e di conseguenza avranno la forza di allontanarsi da tutto quello che può essere offensivo nei confronti di Dio. Quello che dobbiamo fare è espresso chiaramente nella Bibbia: «Lavatevi, purificatevi, togliete davanti ai miei occhi la malvagità delle vostre azioni; smettete di fare il male; imparate a fare il bene; cercate la giustizia, rialzate l’oppresso, fate giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova!» (Is.1:16,17). «se rende il pegno, se restituisce ciò che ha rubato, se cammina secondo i precetti che danno la vita, senza commettere l’iniquità, per certo egli vivrà, non morirà»; (Ez.33:15).
«Infatti, ecco quanta premura ha prodotto in voi questa vostra tristezza secondo Dio, anzi, quante scuse, quanto sdegno, quanto timore, quanto desiderio, quanto zelo, quale punizione! In ogni maniera avete dimostrato di essere puri in questo affare» (2 Cor.7:11).
L’anima peccatrice non ha il senso morale, esso è stato indebolito dal peccato e di conseguenza non riesce a vedere i difetti del suo carattere; né si rende conto della gravità del male fatto: A meno che egli non si abbandoni alla potenza convincente dello Spirito Santo, rimarrà in una cecità parziale che non gli permetterà di distinguere nettamente il suo peccato; la sua confessione è inefficace perché non sarà ne’ sincera né onesta, e ogni volta che riconoscerà di avere commesso un errore, cercherà delle scuse e dirà che se non si fosse trovato in certe particolari circostanze, non l’avrebbe commesso.
Il libro della Genesi, quando descrive la caduta dell’uomo, evidenzia con chiarezza che questi furono prese da un senso di vergogna e di paura. Infatti, la loro prima reazione fu quello di trovare delle scuse da addurre anche per poter scampare alla tremenda sentenza di morte; e quando Dio chiese loro il motivo di quella tremenda disubbidienza, l’uomo rispose incolpando in parte il suo creatore stesso e in parte la sua compagna: «La donna che tu mi hai messa accanto, è lei che mi ha dato del frutto dell’albero, e io ne ho mangiato» (Gen.3:12) : Eva a sua volta si discolpò accusando il serpente: «Il serpente mi ha ingannata e io ne ho mangiato» (Gen.3: 13). Perché hai creato il serpente? Perché gli hai permesso di entrare in Eden?
Queste erano le domande implicite nella giustificazione che Eva aveva dato. essa giustificava la sua trasgressione attribuendo a Dio tutta la responsabilità proprio come aveva fatto Adamo suo marito. Tale spirito di autogiustificazione fu concepito dal Padre della menzogna e poi venne trasmesso a tutti i discendenti di Adamo ed Eva, a tutta la razza umana.
Confessioni come queste non sono ispirate dallo Spirito Santo e non possono essere accettate da Dio, perché il vero pentimento porta l’anima peccatrice ad assumersi tutte le responsabilità della propria colpa, riconoscendole senza menzogna e ipocrisia proprio come il pubblicano della parabola di Gesù che non osando alzare gli occhi verso il cielo, riconobbe i suoi peccati e pregò: «O Dio, abbi pietà di me, peccatore!» (Lu.18:13), tutti quelli che assumono questo atteggiamento di sincero pentimento, otterranno remissione dei loro peccati mediante il Sangue di Cristo Gesù.
La Bibbia contiene esempi di un sincero pentimento e di una profonda umiliazione di fronte a Dio, esempi che rivelano il vero spirito con cui va fatta la confessione: priva di scuse e di autogiustificazioni, l’Apostolo Paolo dipinse il suo peccato in tutta la sua cruda e tenebrosa realtà, non cercò di proteggere se stesso e affiancare alle sue colpe delle attenuanti, Egli dichiara: «…io rinchiusi nelle prigioni molti santi; e, quand’erano messi a morte, io davo il mio voto. E spesso, in tutte le sinagoghe, punendoli, li costringevo a bestemmiare; e, infuriato oltremodo contro di loro, li perseguitavo fin nelle città straniere» (At.26:10,11). Egli non esitò a dire ancora: «…”Cristo Gesù è venuto al mondo per salvare i peccatori”. Io sono ‘il primo dei peccatori» (1Tim.1:15).
Un’anima, afflitta per il peccato commesso, che si umilia di fronte a Dio esprimendo un sincero e profondo pentimento, non solo si limita a confessare il peccato ma si impegnerà ad abbandonarlo con l’aiuto di Dio ed apprezzerà l’amore del suo Salvatore riconoscendo cosi il prezzo pagato per lei sulla croce. Che Dio ci aiuti a confessare e ad abbandonare il peccato che cosi facilmente ci avvolge con la speranza che: «Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità» (1.Giov.1:9).
Pace nelle difficoltà
Stiamo vivendo in un’era terrificante. La minaccia delle armi continua a crescere. Sembra improbabile che la pace nel mondo si realizzi. La Bibbia ha preannunciato che le cose sarebbero andate così, specialmente negli ultimi giorni, che gli uomini ribelli avrebbe continuato il cammino verso l’autodistruzione. Ma proprio in questi tempi difficili Dio ci offre la Sua pace. Dio è l’Iddio di pace e questa affermazione ricorre spesso nella Scrittura; tuttavia divampa nel mondo la guerra: fra le razze, i popoli, gli individui e persino nel cuore di ciascuno. In realtà gli uomini soffrono per questo e desiderano ardentemente ricevere la pace, nonostante la loro disobbedienza. È patetico vedere gli sforzi disperati delle nazioni per allontanare lo spettro della guerra e della distruzione atomica, senza che si manifesti un movimento sincero di pentimento e di fede! “Or non ve pace per gli empi, dice l’Eterno”. La pace di Dio non è condizionata dalle circostanze. Solo colui che ha sperimentato Cristo come personale Salvatore realizza pace nel cuore, perché fermo nei suoi sentimenti divini (Isa.26:3). Solo Dio offre vera pace. Egli ci dà pace nel cuore e questa è realizzabile solo quando Cristo ha perdonato i nostri peccati e ci ha riportati in una giusta relazione con Lui. Qualsiasi cosa avvenga al di fuori di noi, Cristo calma il nostro essere. Possiamo avere pace con noi stessi e con gli altri solo quando siamo in pace con Dio. Più la pace di Cristo regna in noi, più la testimonianza dell’Evangelo che rendiamo a coloro che ci circondano è potente.
1. La garanzia della pace
“Io vi lascio pace; vi do la mia pace. Io non vi do come il mondo dà. Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti” (Giov.14:27). L’antefatto di Giovanni 14 è l’ultima cena, l’istruzione contenuta nei capitoli che vanno da 13 a 16 è conosciuta come il discorso di congedo di Gesù. Prima del Suo arresto e della Sua crocifissione, queste furono le parole di commiato di Gesù ai Suoi discepoli. In questa circostanza, nel cuore dei discepoli non c’era ombra di serenità. Gesù cercava di prepararli per la bufera che stava loro dinanzi, voleva equipaggiarli per il futuro, ma le loro menti erano sempre più confuse, e il trauma dell’infame processo e la condanna della croce avrebbe generato un grande scompiglio nella loro vita, la pace di Cristo era loro necessaria. La pace di Dio è serenità in mezzo alla tempesta e non assenza di problemi, non è nemmeno un viaggio pacato lungo la riva di un placido lago. La pace di Dio è una pace del cuore; il mondo non può dare questo tipo di pace. Le nazioni possono anche distruggere i propri armamenti nucleari, sopprimere le guerre, ma non avranno così la pace che Gesù offre. Quel giorno Gesù promise ai Suoi discepoli una tranquillità del cuore che sussiste al di là di quel che accade intorno a noi. Solo quando i nostri peccati sono stati perdonati e siamo nella giusta relazione con Dio, la pace di Gesù abbonda in noi. “Se tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e convincilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello” (Mat.18:15). Questo verso con altri simili mostra come questo si possa realizzare. L’apostolo Paolo non si limitò a dare consigli utili ai Filippesi per conservare questa pace incorruttibile. Per la comunità di Filippi questo era significativo, dato che quella città era un avamposto militare romano e la popolazione non vedeva di buon occhio i seguaci di Cristo (Atti 16).
Poco importa se siamo approvati o meno dal mondo, la pace di Dio è per tutti coloro che ne hanno bisogno. Questa pace si ottiene appoggiandosi su di Lui: “Confida nel Signore con tutto il cuore e non ti appoggiare sul tuo discernimento. Riconoscilo in tutte le tue vie ed egli appianerà i tuoi sentieri”. (Prov.3:5-6). Dovremmo consegnare sempre ogni nostro problema nelle mani del Padre, piuttosto che preoccuparci. Dio è più grande delle circostanze, ogni situazione può essere risolta da Lui se confidiamo in Lui; perciò possiamo gettare le nostre ansietà su Gesù, pregando e facendoGli conoscere le nostre richieste “gettando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi” (I Pie.5:7). La pace di Dio porta con sé non solo privilegi, ma anche responsabilità. Paolo scrive: “Quindi, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama,quelle in cui è qualche virtú e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri. Le cose che avete imparate, ricevute, udite da me e viste in me, fatele; e il Dio della pace sarà con voi” (Fil.4:8-9). Queste virtù dovrebbero far parte dei nostri pensieri come delle nostre azioni, esse vanno ricercate e possedute. Se noi stiamo attenti a seguire interamente la Parola di Dio, la Sua pace sarà con noi.
2.La fonte della pace
“Del resto, fratelli, rallegratevi, ricercate la perfezione,siate consolati, abbiate un medesimo sentimento, vivete in pace; e il Dio d’amore e di pace sarà con voi” (2 Cor.13:11). Centinaia di anni prima della nascita di Cristo, la venuta del Liberatore, del Messia e Re, fu annunciata dal profeta Isaia: “Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace, per dare incremento all’impero e una pace senza fine al trono di Davide e al suo regno, per stabilirlo fermamente e sostenerlo mediante il diritto e la giustizia, da ora e per sempre: questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.” (Isa.9:5-6). Tra i titoli che vengono indicati, leggiamo che il Cristo sarebbe stato il Principe della Pace. La Sua Persona, la Sua presenza e potenza portano pace a coloro che Lo cercano e Gli ubbidiscono. “Per dare incremento all’impero e una pace senza fine al trono di Davide e al suo regno, per stabilirlo fermamente e sostenerlo mediante il diritto e la giustizia, da ora e per sempre: questo farà lo zelo del Signore degli eserciti” (Isa.9:6). Questa profezia assicura che il governo e la pace di Cristo non avranno mai fine. Quando il Principe della Pace eserciterà pieno controllo su ogni aspetto della vita di questo mondo, sarà un tempo glorioso. Per il credente quello sarà un tempo d’esultanza. Quando Gesù giunge per la prima volta nel cuore di un credente, vi porta la Sua pace. Ma un cammino continuo con Lui porta ad una tranquillità e ad un senso di sicurezza ancor più profondi. Un giorno, quando Cristo tornerà e regnerà su tutto, allora la pace sarà universale. Se non sei un credente, perché non dare oggi il tuo cuore a Cristo? Allora potrai avere pace con Dio, con te stesso e con gli altri.
3. I requisiti per la pace
Innumerevoli testi Biblici si soffermano su questo bellissimo soggetto. Dio è la sorgente della pace, essa è parte della Sua natura. Noi possiamo avere, quindi, pace se dimoriamo in Lui e teniamo saldi i nostri sentimenti: “A colui che è fermo nei suoi sentimenti tu conservi la pace, la pace, perché in te confida” e“Confidate per sempre nel Signore perché il Signore, sí il Signore, è la roccia dei secoli” (Isa.26:3-4).
La pace è fondata ed edificata sulla fiducia: più cresciamo nella nostra relazione con Dio, più la nostra fiducia in Lui si rafforza e la pace si perfeziona in noi. Non possiamo avere vera pace senza consacrazione interamente a Dio: “Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesú Cristo, nostro Signore, mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio” (Rom.5:1-2). Questi versi si riferiscono alla pace iniziale con Dio, quella che si ha al momento della salvezza. Prima della venuta di Cristo nel nostro cuore, eravamo separati da Dio a causa del peccato; il peccato era al governo della nostra esistenza, non c’era in noi nessuna prospettiva onorevole davanti a Dio. Le nostre azioni non erano certamente per la gloria di Dio e neppure conformi alla Sua volontà. Ma quando Cristo è venuto nella nostra vita, la nostra comunione con il Padre è stata reintegrata. Fare pace è parte di questo processo: l’amore sostituisce l’animosità, la comunione prende il posto della divisione. Il peccato che una volta teneva il Signore lontano da noi viene rimosso, cancellato dal sangue di Gesù. Noi abbiamo, quindi, pace con Dio. Non solo, ma abbiamo anche ingresso gratuito alla Sua grazia. Alla disperazione si è sostituita la speranza: “Il Signore della pace vi dia egli stesso la pace sempre e in ogni maniera. Il Signore sia con tutti voi” (2 Tess.3:16). Questo verso sintetizza meravigliosamente tutto quanto è stato detto: Gesù è il Signore della pace, poiché essa è parte della Sua natura. La pace è un argomento che viene menzionato ogni giorno e in ogni modo. Molte sono le nazioni nel mondo che bramano che le guerre cessino e che la pace regni, ma il vero problema è molto più profondo. La tranquillità non potrà mai regnare sulla terra, fino a quando non ci sarà serenità nei cuori delle persone. Il sangue di Gesù sparso alla croce ha reso realizzabile per tutti la pacificazione con Dio, offrendo quella pace del cuore che l’umanità senza Dio non può intendere. Quando abbiamo pace con Dio, noi riusciamo ad avere pace con noi stessi e siamo in grado anche ad averla con gli altri. Quando il Principe della Pace verrà, allora vi sarà pace anche sulla terra.
Saper scegliere
Non c’è anima rigenerata che non viene incoraggiata a perseverare nel percorso spirituale intrapreso, senza vacillare. La rigenerazione “va vissuta” in un espressione di profondo e continuo cambiamento; è la pianificazione di Dio nella nostra vita, così che, “Se viviamo per lo Spirito, camminiamo altresì per lo Spirito.” (Gal 5, 25), e non mancheremo di “raccogliere, ciascuno, ciò che avremo seminato“ (Gal 6,7b). E’ opportuno, richiamare alcuni principi, di certo noti, che devono guidarci negli atteggiamenti e nelle scelte, secondo quanto la Sacra Parola ci invita ad osservare per facilitare il nostro cammino cristiano.
1. Saper proporci
I cristiani non sono una conventicola di anacoreti che col passar del tempo generano nel loro cuore sentimenti di puro anarchismo, essi sono stati mandati nel mondo pur non essendo del mondo, tuttavia niente e nessuno deve evitare loro di conservare nel proprio cuore i valori Divini ricevuti per mezzo della nuova nascita. Il popolo di Dio è un popolo santo, che emana la carità in tutte le sue espressioni, è un popolo che sa riconoscere la grazia che Dio gli ha concessa, senza perdere la consapevole della propria fragilità e dei propri limiti, per questo siamo invitati a non trascurare la “misteriosa” composizione delle nostre comunità: ” Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione: non ci son tra voi molti savi secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i savi; e Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti;“ (1.Cor.1: 26-27).
La consapevolezza di tale “vocazione” – di piccoli tra piccoli, di deboli tra deboli – ci porta a vivere con più semplicità nel popolo di Dio, come promotori abili sotto l’unzione dello Spirito Santo, siamo capaci di esercitare pazienza, misericordia e di servire più che essere serviti. Siamo un popolo eletto da Dio per essere “benedetti e benedicenti”, anime ripiene di stima e di fiducia per tutti i fratelli, in cui il “vincolo perfetto” della carità “ tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1.Cor.13:7), per questo dobbiamo permettere allo Spirito Santo di collegare la Sua santità con la nostra umanità, di evidenziare la Sua potenza nella nostra visibile debolezza. Se riscontriamo di non godere pienamente il frutto della presenza dello Spirito Santo in noi, non scoraggiamoci, anzi, questo è il momento di impegnarsi ancora di più, con generosità di cuore, “di non ricordare più le cose passate, di non pensare più alle cose antiche, perché il Signore viene a fare una cosa nuova“ (Is.43:18-19). La totale padronanza dello Spirito Santo nel nostro cuore, ci porta a sgombrare il campo da ogni divisione, da ogni rancore personale e collettivo, da ogni sospetto e dubbi che erodono la fiducia e la spontaneità. Prevalga invece, sempre il frutto “della riconciliazione” con Dio e con i fratelli. Egli stesso ci chiama a spandere nel Suo campo, il seme di “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5:22). Che non risuoni in mezzo al popolo di Dio l’inquietante monito dell’apostolo: “dal momento che c’è tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera tutta umana?” (1.Cor.3: 3).
Non viviamo da uomini carnali, che celano dietro regole rigide e soffocanti i propri personali interessi, ma da uomini spirituali, che sanno dare vita anche alla legge, “data per la durezza del nostro cuore“ (Mt 19, 8; Mc 10, 5). È per questo che “noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato… L’uomo naturale, però, non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito”(1.Cor.2:12-14). Quanto e cosa gradito a Dio una vita vissuta nello spirito del perdono reciproco e della stima vicendevole per essere stimati da Dio quali “pastori secondo il Suo cuore“, che guidino il Suo gregge con “scienza e intelligenza“ (Ger.3:15).
2. Saper prepararci “Ciascuno di voi consideri gli altri superiori e se stesso””Abbiate una giusta considerazione di voi stessi” (Fil. 2:3; Rm.12:3)
Non dimentichiamoci che gli impegni comunitari, presuppongono sempre una “scelta” (chiamata), un’unzione da parte del Signore, che non si può ne si deve sottovalutare, anzi, questi, vanno sempre riconosciuta e posti nella giusta considerazione comunitaria, affinché non vengano sottovalutati i doni specifici concessi dallo Spirito Santo a ciascun membro della comunità. Solo la chiarezza di un cuore leale ci consente di individuare dove l’unzione del Signore si sta posando. Il Signore ha sempre benedetto il Suo popolo per mezzo di carismi e talenti che ha elargito ai singoli credenti, infatti, “a ciascuno è data una particolare manifestazione dello Spirito per l’utilità comune“ (1.Cor.12:7). Osserviamo i doni degli altri fratelli, stimiamo il bene che Dio ha riposto nel loro cuore, consideriamo “il corpo” di cui siamo parte – nella sua interezza, senza limitarci a visioni troppo anguste, ad angolazioni eccessivamente personali, ma allargando lo sguardo, come la forza e la luce dello Spirito Santo impongono. Pertanto, nessuno che ha per grazia disponibilità di tempo, maturità umana e amore per i fratelli si tiri indietro. Paolo scrive: “Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te. Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza” (2.Tm.1: 6-7).
Evitiamo amorevolmente pregiudizi e preconcetti, non esprimiamo”giudizi prima del tempo”, ognuno offra a Dio e ai fratelli la propria disponibilità al servizio per glorificare Cristo. Certamente serve, la carità e la verità per guidare i fratelli a svolgere il giusto discernimento, offrendo i criteri umani, spirituali ed ecclesiali a cui ricondursi nell’operare le scelte, evitando, così, che il “proporre” o il “proporsi” avvengano sotto spinte emotive o simpatie momentanee, “Chi è saggio e accorto tra voi? Mostri con la buona condotta le sue opere ispirate a saggia mitezza. Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non mentite contro la verità” (Gc 3:13-14). Cerchiamo, allora, “di stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone“ (Eb.10, 24). Ogni “incarico” ammette anche una buona consapevolezza del “compito” ricevuto. Per questo quanti intendono donare la propria disponibilità, sanno che la chiamata a servire è nella logica dell’amore in pura gratuità e non “del comando o del potere”. Vogliamo servire il Signore non secondo la mentalità del mondo, ma investiti del ”pensiero di Gesù”. “Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti” (Mc.10:42-44). “Fra voi però non è così“: Gesù esprime questa certezza perché “cinge” del grembiule dell’amore, della Sua stessa carità pastorale, ogni discepolo chiamato a servire la Sua Chiesa. “Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi“ (Gv.13:15).
3. Saper dedicarci “Lo Spirito Santo e noi abbiamo deciso” “Pieni di spirito di saggezza” (At. 15:28; At.6:3).
Senza dubbio è molto delicato per una comunità individuare quanti potrebbero essere adatti per assumere alcuni incarichi specifici. Dovremmo evitare di arrivare al “fatidico momento” senza avere prima pregato e condiviso a lungo. Preghiera e condivisione fraterna, supportati dall’immancabile ricorso alla Parola di Dio, sono tre condizioni indispensabili perché una Comunità si apra, nella vera “libertà dello Spirito”, alla volontà di Dio che si manifesta nel “discernimento comunitario“. Nessuna metodologia o pedagogia unicamente umane – anche se sostenute dal rispetto formale di regole, statuti e normative – possono sostituirsi alla prassi come la preghiera e del discernimento comunitario nell’umile e attento ascolto della voce dello Spirito Santo e della voce dei fratelli. È su questo difficilissimo terreno che la nostra responsabilità si fa grande, non tanto nell’individuare i fratelli “umanamente” più adatti e capaci, secondo i nostri pensieri e le nostre decisioni affrettate, quanto piuttosto nel “saper discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm.12:2). In quali rischi possiamo incorrere?
A . Il primo è quello dell’entusiasmo e dell’orgoglio carismatico, che generano supponenza e presunzione, che ci portano ad auto-compiacerci. Non sentiamoci un popolo di arrivati, non diamo per scontato l’acquisizione, la presenza e la pratica dei doni carismatici. Non cadiamo nella trappola dei Corinzi che si “gloriavano dei carismi“, come fossero loro esclusivo appannaggio; non diamo per scontato il possesso di ciò che ci occorre, dimenticando che i doni sono di Dio e che se anche lo Spirito Santo ce ne affida l’utilizzo (per grazia quando vuole e come vuole, sotto l’esame della Parola), possiamo scadere in qualsiasi momento.
La vigilanza su se stessi è indispensabile per non cadere nel l’inganno di sapere già come comportarci, di cosa dire e cosa fare, per cui non vale la pena di impegnarsi più di tanto. Tutto questo svigorisce la nostra possibilità di impiego e la gaiezza di dipendere dal Signore, con il risultato di non ritenere “mai” altri fratelli pronti ad assumersi una responsabilità in seno al popolo di Dio. Ecco che il ripiegare sempre sulle stesse persone, talvolta spenti e demotivati, sottolinea una condotta contraria allo Spirito Santo, poiché ne spegne il dinamismo e le benedizioni che il Signore non manca di elargire a chi sa invocarLo umilmente.
B. L’altro pericolo, similmente rischioso, è quello dell’insipienza – che altro non è se non una deficienza di Spirito di sapienza, praticamente, la mancanza di una continua unzione dello Spirito Santo; questa insipienza, blocca e arresta affetti, emozioni e volontà conducendoci di conseguenze a non dare la giusta reputazione ad alcuni fatti o circostanze nella fratellanza, anzi, toglie l’amore per le cose di Dio. Tale insipienza l’Apostolo la definisce stoltezza: “O stolti Galati… siete così privi d’intelligenza che, dopo avere incominciato con lo Spirito, ora volete finire con la carne? Tante esperienze le avete fatte invano? Se almeno fosse invano!“ (Gal.3:3-4). La sapienza, è un dono di Dio e va richiesta con fede. “Se qualcuno di voi manca di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare, e gli sarà data. La domandi però con fede, senza esitare… e non pensi di ricevere qualcosa dal Signore un uomo che ha l’animo oscillante e instabile in tutte le sue azioni“ (Giac.1:5-7). Non cessiamo mai di abbeveraci alla fonte della sapienza – origine di ogni discernimento – cioè alla Persona dello Spirito Santo! E sotto l’unzione dello Spirito Santo che possiamo pregare e chiedere quello che ci necessita “non sappiamo che cosa sia conveniente chiedere“(Rm.8:26). Solo così saremo capaci di affermare, senza errore, che lo Spirito Santo prima, e noi, dopo “abbiamo deciso, con il vigore della Sua sapienza”. È per mezzo dello Spirito Santo che dobbiamo investirci necessariamente della luce Divina per fare le nostre scelte. Sforziamoci, dunque, di vivere il tempo che ci rimane, con entusiasmo ritrovato e rinnovata fiducia nel Signore, ma sopratutto con la certezza che lo Spirito Santo e quindi la Sua sapienza, che ha reso sapienti gli intrepidi santi che ci hanno preceduti.
Non farti del male
“Non farti del male!” Affermazioni come queste sono sempre più frequenti ai nostri giorni: «Stai attendo, riguardanti, ti raccomando…», queste e altre simili messaggi non mancano dalle labbra di tanti. Naturalmente in alcune persone questi avvisi rispecchiano forme educative e di gentilezza, in altre potrebbero essere segni di preoccupazione e intenso interesse.
“Non farti del male!”, nel caso di Paolo e Sila, assume maggiore utilità, non è un semplice grido naturale, bensì una esortazione spirituale, è un avvertimento, un richiamo forte e incisivo che lo Spirito Santo rivolge con estrema autorità a un’anima ignara del piano di Dio, ma bisognosa della salvezza. Quest’uomo si trovò davanti a un problema materialmente parlando irrisolvibile, la speranza della soluzione secondo le sue aspettative risultò inefficace e di conseguenza il suo cuore venne meno e subito pensò insensatamente di porre fine a quel problema suicidandosi. Il carceriere di Filippi è figura di tutte quelle anime che, attanagliate dal peccato, sono vittime dell’avvilimento e dalla disperazione. Quest’uomo era lontano da Dio, la sua vita assomigliava a quella di tutti coloro che vivono senza Dio. Sicuramente il buon senso e i sani principi che caratterizzavano quest’uomo, infatti, i suoi anni scorrevano tra la famiglia e il lavoro, ma il problema che lo stava spingendo al suicidio rivelò che gli mancava l’artefice che avrebbe reso la sua vita forte e vigorosa, gli mancava Cristo. Gesù disse: “Che gioverà a un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l’anima sua? O che darà l’uomo in cambio dell’anima sua?” (Mat.16:26). È un guadagno illusorio conservare la vita naturale sacrificando quella spirituale. Anche nel caso impossibile che un uomo guadagni tutto il mondo e goda per breve ora dei suoi piaceri ed onori, se deve perdere la vita eterna, i beni eterni, la retribuzione celeste, egli fa una perdita incalcolabile. Infatti, che potrà egli offrire di equivalente per redimere l’anima sua? Ecco l’importanza della presenza di Gesù nel cuore. Egli ci insegna quanto inestimabile sia per ogni uomo la salvezza dell’anima. Il panico, la disperazione, l’avvilimento e anche la depressione sono lì, dietro alla porta, che ci spiano, pronti a possedere il cuore e, se questo è senza Dio, di sicuro ci faranno del male.
“Non farti del male!” Un’esortazione divina che echeggia ogni momento nel cuore di tutti quelli che non cercano rifugio in Cristo. Gesù disse: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre” (Mat.11:28-29). Gesù conosce l’assoluta volontà del Padre e sa che il Suo desiderio è quello di salvare tutti, non volendo che nessuno perisca; Egli accoglie il peccatore aggravato e tremante, lo invita, nel modo più benevolo, a Sé e queste Sue qualità sono appunto, per il peccatore, la garanzia più sicura di pace, felicità e vita eterna. Bisogna avvicinarsi a Dio con un cuore umile e con spirito volenteroso. Non serve presentarsi a Dio solo corporalmente, ai molti che così facevano Gesù disse: “Voi non volete venire a me, per aver la vita” (Giov.5:40). La maniera di andare a Cristo deve essere diretta, semplice, senza dubbio o esitazione. Le difficoltà che possiamo incontrare andando a Cristo sono in noi, non in Lui. Egli invita generosamente il peccatore, ma questi, nella sua incredulità, vorrebbe rendersi degno del Salvatore, prima di accettarne l’invito. Il carceriere aveva bisogno di pace e questa si trova solo esclusivamente andando al Signore Gesù. Egli prende sopra di Sé il nostro carico di peccati e di sollecitudini, se noi Glielo rechiamo, e coloro che abitano in Lui per la fede godono della Sua pace “Noi, che abbiamo creduto, entriamo in quel riposo” (Ebrei 4:3). Alla coscienza gravata, Cristo promette riposo nel perdono; alla mente inquieta, nella verità; al cuore addolorato, nella provvidenza e nelle promesse di Dio; all’uomo oppresso dal dolore, nel pregustamento ora e, fra breve, nel godimento del cielo. Questo invito e queste promesse implicano l’onniscienza e l’onnipotenza di Gesù. Quanto sono grandi e stupende le vie per le quali Dio cerca le anime perdute! Lidia si convertì in un modo calmo, sereno, tranquillo, in un oratorio giudaico (v.14); il carceriere si è convertito in mezzo ai terrori di un terremoto violento. Quanto è grande la potenza del Vangelo, che trasporta le anime dall’orlo dell’inferno della disperazione al paradiso della comunione con Dio!
“Non farti del male!” Così si rivela il Signore al carceriere, stabilendo un’intima relazione e corrispondenza d’affetto chiamata “comunione”. La comunione spirituale non si sviluppa per gradi: o si sperimenta o non la si conosce affatto. Dio non ci purifica un po’ alla volta dal peccato: se viviamo nella luce e camminiamo nella luce, siamo liberati dal peccato. È questione di ubbidienza. La comunione diventa perfetta nell’ubbidienza. Se per un attimo rifiutiamo di ubbidire, le tenebre e la morte riprendono il loro dominio. “Che debbo fare per essere salvato?” Fu la replica del carceriere alla risposta di Paolo e Sila, ma salvato da che cosa?… dal terremoto? Dalla pena che l’aspettava? No, da qualcosa di più. Il carceriere conosce l’accusa che è fatta a Paolo e a Sila; sa che essi sono qui perché “annunziano la via della salvezza” (17). È questa percezione data dallo Spirito Santo che lo ha scosso nei suoi più intimi sentimenti, proprio come il terremoto ha scrollato la prigione dalle fondamenta, così l’anima di quest’uomo viene scossa, riconoscendo in questo modo nei due carcerati un qualcosa di grande, di straordinario che egli stesso non potrebbe definire e tremante, genuflesso esclama: “Signori, che debbo fare per essere salvato?” (v.30). Questa espressione rileva la disponibilità di un cuore toccato dalla Santa Parola di Dio, che non indugia nell’ubbidire risolutamente ad essa. Tutte le rivelazioni di Dio sono lettere morte se non ci sono svelate attraverso l’ubbidienza. Non furono le riflessioni filosofiche, né la sua rispettabile razionalità che permisero al carceriere di Filippi di aprire gli occhi alla Divina verità ma, non appena ubbidì, la Luce Divina risplendette davanti a Lui, un nuovo orizzonte si stava aprendo nella sua vita, il miracolo della rigenerazione stava avvenendo in quell’anima poco prima oppressa e addolorata dalla presenza del peccato. Lasciamo che Dio operi la Verità in noi in modo da esserne permeati. I nostri penosi e tormentati sforzi per perseguirla non raggiungeranno lo scopo. Il solo mezzo per continuare a conoscere la Verità è di smettere la ricerca affannosa. Si leggono infinità di libri sulle azione dello Spirito Santo, mentre basta un’attitudine di ubbidienza per essere continuamente illuminati.
“Non farti del male!” Quanto male può conseguire a danno di un’anima che non riceve una giusta interpretazione del Santo messaggio dell’Evangelo. Il verso 31 riporta che Paolo e Sila, insieme risposero prestamente alla domanda dell’uomo disperato: “Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia”. Poco prima quest’uomo aveva chiamato sia Paolo che Sila “Signori…”. Apparentemente espressione che non sottolinea nessun danno, ma è doveroso per i servi di Dio chiarire che non ci sono altri signori se non il Signore Gesù e solo se si crede in Lui si è salvati. “Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia”.
“Non farti del male!” Quanto male ricevono coloro che non si dispongono ad ascoltare il messaggio del Vangelo per mezzo della Parola di Dio! “Poi annunziarono la Parola del Signore a lui e a tutti quelli che erano in casa sua” (16:32). Paolo e Sila testimoniarono della vita, della morte e della risurrezione del Signore, della necessità del ravvedimento, della vera natura della fede, della gioia della comunione con Dio: tutto questo è incluso nella frase “annunziarono la Parola”. Il messaggio del Vangelo toccò il cuore del carceriere, che fu battezzato con tutta la sua famiglia e di subito: “li prese con sé in quella stessa ora della notte, lavò le loro piaghe…”. Ecco le opere che non precedono, ma seguono la fede, che non sono le radici, ma i frutto della fede. Male è sinonimo di peccato; tutti quelli che vivono ancora sotto il dominio del peccato camminano nel male e di conseguenza si fanno male, ma, proprio come Paolo e Sila esortarono il carceriere a fuggire il male, così oggi lo Spirito Santo continua ad incitare chiunque pratica il peccato, dicendo fortemente: “Non farti del male!”
Messaggeri e guide spirituali
E’ opportuno sottolineare principalmente la particolarità delle nostre comunità, inguanto luoghi di Culto dove anime rigenerate si radunano per offrire la lode nel Culto al Signore, ma in questi ultimi tempi mai come prima, le nostre Chiese sono frequentate da persone cristiane e simpatizzanti, che provengono da paesi e nazioni di cultura e usi e costumi diversi. Spesso il pastore diventa il mediatore tra cristiani, i quali hanno in comune solo la fede, mentre la loro prassi è completamente diversa. E non solo la prassi, ma anche il modo di celebrare il Culto, così come spesso il decoro del luogo che ci ospita, possono unire o separare i fedeli. Qui subentra la guida Divina che necessita indispensabilmente sul pastore e sulla comunità che cura, questi devono con l’aiuto di Dio, cercare di rimediare a tali diversità esteriori, concentrando tutto sull’evangelizzazione del popolo di Dio, ruolo principale del ministero pastorale. “Perché se io evangelizzo, non ho da trarne vanto, poiché necessità me n´è imposta; e guai a me, se non evangelizzo! Se lo faccio volenterosamente, ne ho ricompensa; ma se non lo faccio volenterosamente è pur sempre un´amministrazione che m´è affidata. Qual è dunque la mia ricompensa? Questa: che annunziando l´Evangelo, io offra l´Evangelo gratuitamente, senza valermi del mio diritto nell´Evangelo. Poiché, pur essendo libero da tutti, mi son fatto servo a tutti, per guadagnarne il maggior numero; e coi Giudei, mi son fatto Giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che son sotto la legge, mi son fatto come uno sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che son sotto la legge; con quelli che son senza legge, mi son fatto come se fossi senza legge (benché io non sia senza legge riguardo a Dio, ma sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che son senza legge. Coi deboli mi son fatto debole, per guadagnare i deboli; mi faccio ogni cosa a tutti, per salvarne ad ogni modo alcuni. E tutto fo a motivo dell´Evangelo, affin d´esserne partecipe anch´io”I Cor. 9, 16-23).
Queste parole di Paolo definiscono il ruolo principale delle comunità cristiane, che non hanno altro interesse oltre alla loro edificazione, l’evangelizzazione dell’uomo e del mondo. Ovviamente la quasi tutta la fratellanza che si raduna nella propria chiesa, ha sperimentato la nuova nascita mediante la grazia di Dio, ricevendo il sano indottrinamento biblico. Però tanto il nostro momento, quanto la particolarità di quanti frequentano le nostre comunità (es. persone che vengono da paesi che fino a ieri si proibiva l’insegnamento biblico necessario), dovrebbero spingere il pastore e la propria comunità, ad una riscoperta della sostanza della vita Cristiana nella vita quotidiana, nella conoscenza profonda della fede e nella testimonianza del comportamento fedele in un mondo, che ha necessità di tutto questo. Così, oggi la comunità locale, dovrebbe essere considerata non come un luogo geografico, ma come un luogo dove tutte le anime, indipendentemente dalla loro cultura o nazionalità, possono trovare il riposo spirituale e possono affidare al Signore i loro carichi di vita quotidiana.
Spesso siamo invasi dal pessimismo, che viene incoraggiato dalle difficoltà, che la vita spirituale porta con sé, oltre allo stato dell’uomo, che vive in una società, dove il culto della carne e del materialismo lo dominano totalmente. Non prossimo, ne dobbiamo permettere per nessuna ragione che il nostro cure quali pensiero e sentimento, invalidano il doveroso compito di servitori di Dio, di adempire il grande mandato del nostro Signore Cristo Gesù: «…Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura” (Mar.16:15).
E’ implicito che non si sta mettendo in discussione l’incapacità dei pastori e del diaconato, o di non aver inteso bene la nostra missione, essendo certi e tenendo in considerazione che la nostra capacità viene da Dio “Non già che siamo da noi stessi capaci di pensare qualcosa come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio” (2.Cor.3:5), tuttavia, non va escluso purtroppo che, spesso viene considerato come missione, solo la celebrazione del Culto e la cura unicamente di coloro che ci stanno vicino, “abbandonando”, forse “inconsapevolmente” così, la sostanza della missione, che invece è basata nell’avvicinarsi alla pecora smarrita, che oggi non è la una, ma le novantanove. Confutare la missione di cui la Chiesa ha avuto il mandato è una insolvenza per la vita cristiana e qui non parliamo di un dinamismo di tipo occidentale, il quale considera il pastore, colui che offre da solo attraverso il ministero della Sacra Parola di Dio, l’edificazione delle anime, elogiando la buona testimonianza del singolo credente, oppure invitando al cambiamento del comportamento degli uomini attraverso l’invocazione della paura e della mancanza di santificazione, ma di un portamento che vuole mostrare attraverso la rigenerazione prodotta dall’opera dello Spirito Santo, la dignità della vita cristiana, come vengono vissuti originariamente nel Vangelo, le vere missioni, manifestate attraverso il carattere totalmente cristiano, austero e comunitario delle nostre Chiese.
Oggi le comunità cristiane, per essere dei veri luoghi di accoglienza, devono avere tre punti principali, primo, l’ubbidienza alla Parola di Dio, secondo, il desiderio di crescere o maturare secondo l’invito dell’apostolo Pietro (2Piet.3:18), terzo, il desiderio di essere simili a Cristo. Il ritrovamento della sostanza dell’ubbidienza alla Parola di Dio, non riguardo solo i fedeli, ma per tutto il mondo è una cosa necessaria per la Chiesa oggi. Nello stesso modo, l’aspirazione di essere simili a Cristo, che ha come punti principali l’allontanamento dall’egoismo, dalla concupiscenza, dalla lotta contro le passioni, in quanto sono “scandalo e pazzia”, in un’epoca, dove tutto si può fare, danno il vero senso non solo alla vita cristiana, ma aiutano anche a risolvere i problemi, che nascono nei rapporti personali e collettivi. Infine, il ritorno allo spirito collettivo attraverso la vita comunitaria, dove si incontra la singola anima e il gruppo durante il Culto al Signore, ma anche attraverso la filantropia, sarà l’antidoto contro un infinito individualismo, che priva la gioia della comunione con Dio e con il vicino e mettendo a rischio, poi, la salvezza dell’anima.
Per poter concretizzare definitivamente la missione che il nostro Signore Gesù Cristo ci ha per grazia affidato, ci serve l’indispensabile guida dello Spirito Santo che ci suggerisce per mezzo della Sacra Scrittura la sana dottrina. Più di ogni altra volta in passato, il cristiano è un servitore del Signore, oggi, deve impegnarsi, a incontrare l’anima nella sua gioia, nella sua tristezza, nei suoi problemi e difficoltà, nella malattia, nel lutto, nella caduta e nella depressione, che provengono dai suoi peccati e portare a questi il messaggio del Vangelo. Ciò significa, che questa missione, senza imitazione del Nostro Signore Gesù Cristo, come buon Pastore, che conosce il suo gregge e il gregge conosce Lui e sacrifica la Sua vita per esso, non può avvenire. Nello stesso momento, è necessario la sana dottrina e l’insegnamento. I cristiani oggi, devono parlare e conoscere sempre più la verità della Fede, che va trasmessa in ogni situazione, parallelamente, questi, devono essere in contatto con la loro epoca e la realtà odierna.
Non si può negare a priori la civiltà contemporanea, anzi, bisogna concepire il suo assetto per poter così depositare le fondamenta dell’Evangelo e di poter così essere convincenti. L’insegnamento principale della Chiesa, insieme alla sana dottrina è anche la il messaggio dell’Evangelo. Qui, parliamo di un messaggio, che sa rispondere ai bisogni quotidiani. Un messaggio proveniente dalla dallo Spirito Santo, sa rispondere a tutto quello di cui, l’anima necessita essenzialmente. Quando la potenza Divina, unge le labbra del messaggero di Dio, lo stesso messaggio breve o lungo che sia, diventano balsamo ed incoraggia la vita dei fedeli, cosa che chiedono quest’ultimi. In contrapposizione, un messaggio, senza unzione, risulterà inefficace e inutile. Quest’ultimo modo di annunciare Cristo Crocifisso è controproducente per gli stessi cristiani che vengono mal caratterizzato. Il messaggio dell’Evangelo viene così a far parte inseparabile del Culto, dove il Sommo Pastore incontra e ammaestra il suo gregge. Nelle nostre chiese, vengono le persone per pregare, per lodare Dio e qui la comunità diventa realmente luogo di accoglienza. L’uomo viene a pregare e per pregare deve avere l’ambiente necessario e questo ambiente è il pastore insieme alla fratellanza del posto che la crea. Tante volte un comportamento sbagliato può portare ad un allontanamento definitivo delle persone dalla Chiesa.
La migliore organizzazione delle celebrazione e il culto relativamente alle offerte, che i fedeli danno, che non solo sono necessarie per la vita della comunità locale, ma permettono a quest’ultima di collaborare nel sostenimento di missionari e predicatori inseriti nell’organo dell’opera di Dio, inoltre, aiutano la persona a capire il senso dell’offerta, in quanto la chiesa non appartiene soltanto a pochi, ma è aperta a tutti, poiché la chiesa è un porto aperto a tutte le navi, anche a quelle, che sono passate attraverso situazioni particolari di vita. Il tema fondamentale per attuare tutto ciò, è la preparazione del pastore e della comunità che cura, la formazione e l’educazione di questi, non deve essere soltanto teologica e idilliaca.
Il dialogo con la scienza, l’economia, l’arte e la società, sono necessarie, se si vuol capire il mondo in cui si vive e si attua il presupposto bucolico. Così il Pastore e la comunità che cura, saranno sempre pronto a dare le coerenti posizioni ecclesiastiche ad ogni domanda posta dai fedeli. Non è facile, che la chiesa diventi un luogo di accoglienza per tutti i fedeli. Ci vuole un continuo sforzo poter funzionare nella realtà della nostra epoca e dare la nostra testimonianza, ma non bisogna mai dimenticare ne ignorare che abbiamo il conforto delle parole di Nostro Signore: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”(Mat 28,20) e la trasformazione dell’uomo in un mondo dove regna la Resurrezione di Cristo e la Grazia dello Spirito Santo, sono la sostanza della nostra storia, dandoci la forza di lottare senza paura e con tanta speranza, attraverso il nostro impegno, con l’aiuto della Grazia di Dio, la nostra missione, continuerà. D’altronde: “…La mia Potenza si esprime nella debolezza” (Cor 12,9) . Basta che la nostra debolezza non si ingigantisca a causa della nostra apatia e mancanza di voglia di lottare
La Bibbia.
Come credenti di fede abbiamo ricevuto molti beni spirituali che desideriamo custodire gelosamente. Quello che abbiamo ricevuto possiamo parteciparlo, ma non cederlo. Il primo di questi beni avuti da pionieri del messaggio e la Parola intesa come Parola di Dio espressa nella Bibbia.
Essa esprime per ogni credente una importanza capitale, in quanto che, la fede del credente è basata sulla rivelazione, che Dio si è compiaciuto di darci attraverso la Sacra Scrittura.
Questo libro afferma di essere, ed è, la Parola di Dio divinamente ispirata e quindi degna di fiducia:
«Tutta la Scrittura è divinamente ispirata da Dio ed utile ad insegnare. a riprendere, a correggere, ad educare alla giustizia » (2 Tim.3: 16).
La parola di Dio è la sorgente della verità, la pietra di paragone di ogni dottrina, il mezzo divino per rendere l’uomo saggio e intelligente nei segreti di Dio. Chi ha il privilegio, e noi l’abbiamo, di conoscere la Sacra Scrittura, ha imparato il segreto della perseveranza una meditazione attenta e costante della virtù rivelatoci in Cristo Gesù.
Nel Salmo 19:7 è detto «La legge dell’Eterno è perfetta». La Bibbia è perfetta sotto quattro punti di vista diversi: essa e perfetta:
Nella Sua origine.
Essa viene da Dio. Le espressioni «Così dice il Signore» «Dio disse», «Dio parlò» ecc., sono ripetute centinaia di volte. È Dio che parla attraverso gli strumenti umani da Lui scelti. Tre domande sorgono nella mente di colui che prende tra le mani questo libro.
Primo: esiste un Dio?
Secondo: Può questo Dio far conoscere il Suo pensiero e la Sua volontà alle Sue creature?
Terzo: Ha Dio veramente comunicato in questo modo con esse?
La risposta del Cristiano a ciascuna di queste domande è un « si » pieno di sicurezza, poiché la Bibbia dichiara:
«Iddio dopo aver molte volte e in molte maniere parlato anticamente ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per meno del Suo Figliolo » (Eb.1:1-2). Questa affermazione include sia l’Antico che li Nuovo Testamento come espressione della voce di Dio per noi.
Nel modo con cui fu comunicata.
Questa divina relazione fu resa possibile dall’ispirazione dello Spirito Santo. Con ciò intendiamo significare che lo Spirito Santo compenetrò e spinse quei santi uomini su cui Egli scese, in modo che, (pur non togliendo loro la caratteristica della loro individualità) ciò che essi scrissero sotto il Suo divino controllo, era la reale Parola di Dio; “infatti nessuna profezia venne mai dalla volontà dell’uomo, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo…e noi ne parliamo non con parole insegnate dalla sapienza umana, ma insegnate dallo Spirito, adattando parole spirituali a cose spirituali…lo Spirito del SIGNORE ha parlato per mio mezzo e la sua parola è stata sulle mie labbra…Perciò, come dice lo Spirito Santo: “Oggi, se udite la sua voce”…Essendo in discordia tra di loro, se ne andarono, mentre Paolo pronunciava quest’unica sentenza: “Ben parlò lo Spirito Santo quando per mezzo del profeta Isaia disse ai vostri padri”. (2 Piet.1:21; 1 Cor.2:13; 2 Sam.23:2; Eb.3:7; At.28:25).
Ciò naturalmente si riferisce ai manoscritti originali.
La parola « ispirazione » significa semplicemente « soffio di Dio ». Come Dio, al mo-mento della creazione soffiò nell’uomo un alito vitale, per il quale questi divenne un’anima vivente, così Dio soffiò fra le pagine delle Sacre Scritture e fece sì che questo divenisse un libro « vivente ».
“Infatti la parola di Dio è vivente ed efficace, piú affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l’anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore”. (Eb.4:12).
Nella sua rivelazione.
Tutto ciò che Dio vuole che noi conosciamo è contenuto in essa: “Le cose occulte appartengono all’Eterno, al nostro Dio, ma le cose rivelate sono per noi e per i nostri figlioli, in perpetuo, perché mettiamo in pratica tutte le parole di questa legge” (Deut.29:29).
È una piena e completa rivelazione: “Io lo dichiaro a chiunque ode le parole della profezia di questo libro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali i flagelli descritti in questo libro; se qualcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli toglierà la sua parte dell’albero della vita e della santa città che sono descritti in questo libro”. (Ap.22:18-19).
Scritta nello spazio di 16 secoli, da uomini appartenenti a diverse classi sociali, essa forma «la Scrittura», che Cri-sto dichiarò «di non poter essere annullata» (Giov.10:35).
Nella sua conservazione.
La storia della conservazione della Bibbia è simile ad un romanzo. Essa è stata criticata dai suoi nemici, dimenticata per ignoranza e bruciata pubblicamente.
Migliaia dei suoi lettori sono stati persegui-tati e martirizzati attraverso i secoli. Ad onta di tutti i tentativi fatti per distruggerla la Bibbia è rimasta intatta. Non invecchia mai; rinnova la sua gioventù con ogni epoca dell’umanità, e cresce in interesse e in importanza col progredire della storia. Per il Cristiano è l’unica ed infallibile sorgente e norma di fede e di condotta; è il suo quotidiano pane di vita, la sua guida fedele per vivere e morire santamente, il suo migliore amico e compagno – assai più prezioso che tutti gli altri libri messi assieme. E’ ora più studiata che non lo sia mai stata; e i suoi lettori continueranno a moltiplicare di giorni in giorno, in tutte le parti della terra fino alla fine dei tempi.
Poiché la Parola di Dio è la sorgente della verità è l’unica guida della nostra fede e della nostra condotta, dobbiamo studiarla diligentemente. Essa ci è di aiuto anche nei momenti difficili, perché ci dona la fermezza per non essere trascinati lontani da Dio e dalla verità, a causa di dubbi e di eresie.
IL VERO EVANGELO
“E il vero, fratelli, io vi dichiaro che l’Evangelo da me annunziato non è secondo l’uomo… Ma l’ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo” (Gal. 1:11,12).
Alcuni studiosi della Bibbia ritengono che la lettera ai Galati fu scritta da Paolo alle chiese di Listra, Iconio e Derba, nella Galazia del sud. Queste chiese furono fondate dall’apostolo durante il suo primo viaggio missionario. Subito dopo la sua partenza, in quelle comunità arrivarono i giudaizzanti, insegnando che per essere salvati bisognava essere circoncisi. A prima vista potrebbe sembrare inaccettabile che i credenti della Galazia potessero così facilmente essere ingannati. Come è possibile infatti, dopo essere stati istruiti con tanta premura dall’apostolo, accettare un insegnamento diverso da quello del Vangelo della grazia, che avevano udito predicare?
Purtroppo anche oggi sussiste il problema della fragilità e la debolezza dottrinale che sta investendo molti sinceri credenti conducendoli se possibile a cadere in falsi insegnamenti e nel materialismo. Questa è una delle spiegazioni alla prolificazione di sette in quelle nazioni denominate “cristiane”. Voglia lo Spirito Santo, attraverso l’esperienza dei Galati e le parole indirizzate loro da Paolo, spingerci sempre più a pregare e a chiedere al Signore di aprire i nostri occhi, in modo da rimanere attaccati al puro Evangelo.
Confrontiamo le false dottrine (Galati 1:6-9)
La predicazione dell’Evangelo conquistò molte anime, tra cui molti giudaizzanti che, da ebrei, diventarono cristiani. Questi ultimi avevano dato alla Legge di Mosè una parte così importante nella loro vita, al punto che sentivano la necessità di conservare qualcosa di questa Legge per essere salvati. La circoncisione fu uno degli elementi che cercarono di conservare. Insegnavano ai Gentili la necessità di essere circoncisi per poter divenire cristiani, proprio come loro ritenevano indispensabile essere circoncisi per entrare a far parte della fede giudaica. Paolo non risparmiò la sua franchezza nell’esporre il problema, infatti, dopo un lesto saluto ed una rapido introduzione, nella sua lettera ai Galati, egli andò direttamente al cuore del problema. Poiché quei credenti si erano facilmente lasciati persuadere dai giudaizzanti e avevano accettato il loro messaggio, l’apostolo li accusò di essersi allontanati da Cristo e d’aver abbracciato un “altro evangelo”.
La circoncisione è “l’opera della carne” ed era proprio questo il problema nella mente dell’apostolo: se essa avesse potuto salvarci, allora Dio avrebbe potuto fare a meno di mandare Cristo. Accettare la circoncisione significava distorcere alla base il messaggio evangelico. L’apostolo querelò apertamente i falsi insegnanti e questa notifica era giustificata, poiché essi stavano deviando dei credenti lontano da Cristo. L’apostolo fu terso e equilibrato nelle sue accuse: qualunque persona, incluso lui stesso, degeneri l’Evangelo, si procura eterna dannazione. Dai giorni di Paolo ai nostri giorni, molte eresie sono nate all’interno della Chiesa. Dobbiamo trattare con decisione le eresie, tutte le volte che nascono. “Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato, sia anatema...” (Galati 1:8).
La manifestazione dell’Evangelo (Galati 1:10-24)
L’apostolo riusciva a confutare l’errore dei giudaizzanti, perché al centro delle sue argomentazioni c’era l’origine del messaggio dell’Evangelo che egli predicava. Se la sua predicazione avesse trovato origine in se stesso, i Galati avrebbero potuto dire che era semplicemente l’opinione di Paolo contro quella dei giudaizzanti. Ma se questo messaggio proveniva da Dio, allora aveva assoluta credibilità. E l’apostolo reclamava autorità divina al suo messaggio; in questi versetti egli si soffermava a dimostrare che il suo messaggio era da Dio. “E invero, fratelli, io vi dichiaro che l’Evangelo da me annunziato non è secondo l’uomo; poiché io stesso non l’ho ricevuto né l’ho imparato da alcun uomo, ma l’ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo. Difatti voi avete udito quale sia stata la mia condotta nel passato, quando ero nel giudaismo; come perseguitavo a tutto potere la Chiesa di Dio e la devastavo, e mi segnalavo nel giudaismo più di molti della mia età fra i miei connazionali, essendo estremamente zelante delle tradizioni dei miei padri” (Galati 1:11-14).
Il v.13, dove accetta di avere angariata la Chiesa, è di particolare interesse: egli aveva inflitte persecuzioni e gravi afflizioni ai santi (Atti 8:1-3) ed aveva fatte queste cose per essere fedele al giudaesimo (questo deponeva decisamente a sfavore dei giudaizzanti). Ma, dopo avere incontrato Gesù sulla strada di Damasco, la sua vita venne completamente cambiata, egli smise di maltrattare la Chiesa e si unì ad Essa. Ora non poteva più ammettere la circoncisione, ma solo la croce. Quando la natura Divina entrò nel cuore di Paolo, questi avvertì subito che Dio lo chiamava a predicare il Santo Evangelo: il Signore Gesù lo chiamava ad essere un missionario fra i Gentili. Subito dopo la sua conversione, Paolo andò in Arabia per trovare un’intima comunione con Dio. Probabilmente questo fu il luogo dove ricevette le più grandi rivelazioni sugli effetti dell’Evangelo, su ciò che Esso significa, su come annulla il bisogno della circoncisione e dell’osservanza della Legge mosaica. L’origine e l’autorità divine del messaggio dell’apostolo è provata dalla sua testimonianza, contrariamente a quello dei giudaizzanti.
Paolo raccontò la sua testimonianza per mostrare che la rivelazione di Cristo, fatta a lui personalmente, lo indusse ad accettare con saldezza il Vangelo della grazia. Condividere parzialmente le dottrine dei giudaizzanti avrebbe potuto essere possibile per Paolo prima della conversione; ma adesso no, egli è pienamente convinto della grazia, e per nulla è disposto a permettere che qualcuno aggiunga la circoncisione o altre eresie all’opera completa di Cristo sulla croce. Coloro che sono radicati nei principi della Santa Parola di Dio, difficilmente sono influenzabili da eresie. Proprio come l’apostolo Paolo, sono sostenuti dalla piena convinzione dello Spirito Santo che mantiene ferma la loro dottrina, rendendo irreversibile la loro fede nella Bibbia.
Tutelare l’unico Evangelo (Galati 2:1-10)
L’apostolo dette occasione ai fratelli ch’erano alla guida della Chiesa di correggerlo, se eventualmente avesse sbagliato mentre esponeva il suo messaggio. Una delle tante buone qualità, che erano nella persona dell’apostolo, era che questi aveva fiducia nei fratelli responsabili e credeva che Dio gli avrebbe parlato attraverso di loro. Il v. 3 “Ma neppure Tito, che era con me, ed era greco, fu costretto a farsi circoncidere”, implica che i fratelli di Gerusalemme accettarono il messaggio di Paolo, poiché non costrinsero il suo compagno di viaggio, Tito, ad essere circonciso. Galati 2:14 “Ma quando vidi che non camminavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: “Se tu, che sei giudeo, vivi alla maniera degli stranieri e non dei Giudei, come mai costringi gli stranieri a vivere come i Giudei?” mostra che Paolo incontrò anche i giudaizzanti, mentre era a Gerusalemme. Poiché Paolo accettò e rispettò l’opinione dei fratelli responsabili, non si sottomise affatto a queste persone. Sembra che egli non li valutasse neanche fratelli nel Signore!
Paolo disse ciò ai Galati per dimostrare che egli aveva fatto del suo meglio per conservare la loro libertà in Cristo. Dato che lui aveva lavorato così duramente, essi non avrebbero dovuto allontanarsi dalla loro libertà in Cristo. Paolo e Barnaba si recarono poi presso i Gentili con la completa autorizzazione, con le benedizioni e il mandato della Chiesa. Essi godevano della stessa autorità di Pietro. Questo non era solamente una enorme vittoria, ma rafforzò la loro attendibilità nelle chiese. I giudaizzanti affermavano di essere stati mandati da Giacomo ma, come dimostrò il Concilio di Gerusalemme più tardi, ciò non era vero (Atti 15:24). Anzi, l’apostolo si basò sull’approvazione ricevuta dai fratelli responsabili per tutelare la sua posizione contro i giudaizzanti, che proclamavano un evangelo perverso. Barnaba, che aveva un nome esemplare nella chiesa, aveva difeso Paolo e lo aveva appoggiato nella sua visita a Gerusalemme, poco dopo la sua conversione. Adesso, 14 anni più tardi, Paolo aveva dato prova del suo ministerio e i fratelli responsabili, in Gerusalemme, richiesero soltanto una cosa da lui, prima che egli andasse ai Gentili: doveva continuare a ricordarsi dei poveri.
Questa richiesta pratica non solo avrebbe aiutato quanti erano stati colpiti dalla carestia, ma sarebbe anche servita ad unire i cristiani Gentili e Giudei. Generosità e amore fraterno sono sempre molto efficaci, per guarire le ferite nate da contese. Paolo fu in grado di attaccare i falsi insegnamenti che i Galati avevano iniziato a seguire, grazie all’autorità della rivelazione divina che egli aveva. Forse il loro errore non era intenzionale. L’errore dei giudaizzanti, invece, lo era manifestamente. Il falso insegnamento non sempre entra nella nostra vita facendo molto rumore, o rivoluzionando tutto ciò in cui crediamo e il modo in cui ci comportiamo. Esso può anche essere portato in punta di piedi da individui a prima vista a posto, che appaiono preoccupati di non farci perdere una parte del Vangelo che, secondo loro, dobbiamo venire a sapere per essere salvati. Questo fu l’avvenimento fortuito dei giudaizzanti con i Galati: essi proferirono che il Vangelo era grazia, ma era grazia e circoncisione.
Molti insegnanti oggi dicono di conoscere Cristo, amare Dio ed onorare la Sua Parola. Nondimeno la loro conoscenza, il loro amore e il loro onore non si basano sulla Parola di Dio, ma seguono il loro proprio sistema, falsi evangeli che, Paolo dice, devono essere considerati maledetti. Dobbiamo rimanere edificati sulla Parola di Dio, assoggettarci ad essa ed essere sempre aperti all’opera dello Spirito Santo, in modo da evitare ogni trappola dottrinale.
VALORI NECESSARI
“Se dunque voi siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di sopra doveCristo è seduto alla destra di Dio”
(Colossesi 3:1).
Si fa un gran parlare della mancanza di comunicazione, del fatto che la gente parla sempre meno, ma questo non significa che non comunica. Il modo di vestirsi, di parlare, di agire e di presentarsi di una persona ci evidenziano precisamente quali sono i suoi valori. Le cose che si considerano piacevoli e preziose rivelano dov’è rivolto il nostro cuore. A tal proposito Gesù disse: “Perché dov’è il tuo tesoro, lí sarà anche il tuo cuore” (Mat.6:21). Il cristiano, senza trascurare i suoi doveri terreni, forma la sua scala di valori sulla base della Parola di Dio e cerca prima di tutto:
• la presenza del Signore. Il piacere più grande per il cristiano è quello di accostarsi a Dio, la fonte della sua gioia e soddisfazione. Siamo chiamati a “Cercate prima il regno e la giustizia di Dio…” (Mat.6:33), perché in Lui ogni desiderio viene soddisfatto;
• l’estensione del Suo regno. Quando annunciamo il messaggio dell’Evangelo al mondo, stiamo cercando le “cose di sopra”. Attraverso l’evangelizzazione e il servizio cristiano,ci facciamo un tesoro eterno in cielo;
• la comunione col Suo popolo. Il nostro amore per Dio si riflette nell’amore per la Sua Chiesa. Questi sono valori eterni che possiamo far nostri subito e sono le ricchezze spirituali che porteremo in cielo con noi.
Necessità di cercare costantemente le cose eterne (Col.3:14).
Paolo parla della pratica di vita che dovrebbe essere nei credenti. La vita nuova nel credente genera nuovi interessi, nuovi desideri e nuovi obiettivi. Il cristianesimo è più che un credo: è una vita, una nuova vita che ha inizio con una nuova nascita (Giov.3). Il Signore non si limita a insegnarci come vivere, ma mette in noi il desiderio di vivere come a Lui piace. La risurrezione in Cristo non va considerata solo come un evento futuro, ma è una realtà attuale; siamo “risuscitati con Cristo” già al presente. Siamo spronati a cercare “le cose di sopra”, i nostri desideri devono essere secondo la nostra nuova posizione in Cristo. Le nostre ambizioni non possono limitarsi alle cose terrene, al guadagno momentaneo; è necessario guardare scrupolosamente alla vita con una prospettiva spirituale, poiché siamo stati sollevati con Cristo alla destra del Padre nei “luoghi celesti” (Efe.2:6). La nostra vita attuale va vissuta alla luce della sua portata eterna; il piano di Dio sulla terra deve rientrare in tutti i nostri interessi e attività, la nostra vita “è nascosta con Cristo in Dio” (v.3).
Il mondo ci è ostile, spesso appariamo misteriosi ai suoi occhi, perché non si rende conto di quando siamo importati agli occhi di Dio. Al massimo possiamo essere considerati come delle brave persone, anche se non veniamo riconosciuti come figli di Dio, coeredi di Cristo. Un giorno, quando Cristo sarà manifestato, appariremo con Lui in gloria e la nostra vera identità sarà rivelata. Allora il mondo conoscerà chi è Gesù e quali sono i Suoi veri discepoli.
Necessità di regolare gli istinti (Col.3:5-11)
La vita cristiana non è vissuta in una campana di vetro, dobbiamo affrontare le attrazioni di un mondo moralmente corrotto. Pur essendo rinnovato dallo Spirito Santo, il credente è tuttora nel corpo e deve perciò contendere con la vecchia natura. La nostra carne ci spinge in direzione opposta a quella del Signore, perciò il comando di Dio è: “Fate morire la carne!”.
Il corpo può essere un’ampia strada per la quale accede la tentazione o diventare per grazia di Dio il tempio dello Spirito Santo. La vita cristiana è soggetta alla lotta incessante per la vita; non fermiamoci a godere le vittorie del passato, la battaglia non è ancora finita! Opponiamoci ai peccati della carne, respingiamoli senza compromessi! L’apostolo elenca dettagliatamente quei comportamenti peccaminosi che provocano l’ira di Dio. Le debolezze della carne menzionate da Paolo sono in ogni individuo che vive lontano da Dio. “Fornicazione, impurità, lussuria, mala concupiscenza e cupidigia” non sono certo cose adatte “all’uomo nuovo” (Mat.5:27-28). Lo Spirito Santo non si limita a condannare i peccati della carne, ma attraverso l’apostolo denuncia i peccati di temperamento e di lingua: ira, ovvero quel rancore malefico che genera all’istante rabbia e vendetta; collera, cioè ostilità e cattiveria radicati nell’animo naturale; malignità, ossia desiderio di vedere il male abbattersi sul prossimo; maldicenza, che è parola provocatoria contro gli altri; parole disoneste, ossia espressioni scurrili. Tutte queste cose vanno “rimosse” come un vecchio vestito logoro ed anche le falsità, inconciliabili con la condotta cristiana, vanno eliminate.
Necessità di vivere in armonia (Col.3:12-17)
“Eletti di Dio, santi ed amati”; con queste parole l’apostolo identifica i Colossesi. Non perdiamo mai di vista la nostra nuova identità in Cristo, il nome che portiamo; la posizione di santità in Cristo cui siamo stati elevati deve condizionare le nostre azioni ed i nostri atteggiamenti. Paolo evidenzia che non basta deporre il vizio, che deve essere sostituito dalla virtù. In armonia con la compassione: la tenera compassione, la benignità, l’umiltà, la dolcezza, la longanimità; queste virtù che Paolo elenca riguardano i nostri rapporti col prossimo. I figli di Dio non possono fare a meno di perdonare e sopportare: “Sopportandovi gli uni gli altri e perdonandovi a vicenda, se uno ha di che dolersi d’un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi” (v.13).
Anche eventuali divergenze che possono crearsi vanno affrontate coerentemente con la natura di Cristo. Siamo chiamati a perdonare come Cristo ci ha perdonati, con grazia e generosità. In armonia con l’amore: l’amore è la virtù che Dio richiede dal Suo popolo: “Quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria” (v.4).
Il vincolo che unisce i credenti è l’amore, questi è il primo frutto dell’anima rigenerata, e prova dell’autenticità della conversione. Un cristianesimo senza amore è una misera finzione. Il vero amore è concepito nel credente solo dallo Spirito Santo: è la natura di Dio in noi. In armonia con la pace: Dio vuole che ci sia pace nella Chiesa, che deve essere unita in un solo corpo. È la pace di Cristo che regna nei cuori a condizionare i rapporti con gli altri “E la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati per essere un sol corpo, regni nei vostri cuori; e siate riconoscenti” (v.15).
In armonia con la Sua Parola: la Parola di Cristo, quando dimora in noi, ci ammaestra, ammonisce e suscita in noi dei canti di lode a Dio: “La parola di Cristo abiti in voi doviziosamente; ammaestrandovi ed ammonendovi gli uni gli altri con ogni sapienza, cantando di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni, e cantici spirituali” (v.16). In armonia con il potente nome di Gesù Cristo: l’apostolo avverte che ogni cosa deve essere fatta nel nome del Signor Gesù, cioè secondo la Sua volontà e alla Sua gloria; in questo modo, Egli ci provvede la guida e la forza per praticare i Suoi comandamenti. “Che male c’è?” È un’espressione che non dovrebbe essere sulle labbra dei credenti. Non dobbiamo percorrere la strada pericolosa delle discolpe o delle difese, ci vuole poco a sfuggire dal modello che Dio ha stabilito. Se, invece, vogliamo valorizzare i nostri modi di agire, domandiamoci sempre: “Che bene c’è?”, oppure: “Gesù che cosa avrebbe fatto?”. Ciò che siamo veramente si manifesta da come viviamo, non da ciò che diciamo di credere, e per scoprirlo basta esaminare le cose che facciamo in segreto. E questo è possibile solo se viviamo sotto la potente unzione dello Spirito Santo, solo così possiamo adoperarci alle cose utili ed edificanti, condividendo appieno quello che l’apostolo afferma: “Ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa è utile; ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa edifica” (I Cor.10:23).
Stabili nella sana dottrina
Bada a te stesso e all’insegnamento, persevera in queste cose,perche, facendo cosi, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano (1. Tim.4:16)
Il problema della presenza di false dottrine Che cerca no di confutare la Verità, naturalmente senza riuscirci, non ci è nuovo. Il Signore predisse la realtà di false dottrine predicate da schernitori della verità, che avrebbero ingannato molti (Mat.24:3-5). Queste falsità possono essere facilmente evitate solo se saremo attaccati fedelmente alla verità, che è l’unico antidoto all’inganno, infatti la Parola di Dio ci esorta continuamente a rimanere fermi nella sana dottrina. Il modo per dichiarare, proclamare e custodire la verità è rimanere fermi nella sana dottrina.
L’errore può essere rigettato solo quando sappiamo ciò che è giusto. Il credente che non vuole essere vittima di false dottrine deve conoscere e comprendere la Parola scritta di Dio attraverso la lettura e lo studio continui; le anime che maturano nella conoscenza di Dio e della Sua Parola sono meno esposte alle esche degli spiriti seduttori e alle dottrine di demoni (1.Tim.4:1). Acquistiamo cognizioni della sana dottrina; se l’anima rigenerata approfondirà la conoscenza della Sua Parola, Essa la renderà invincibile contro le insidie del maligno, e vincerà proprio come il Divino Maestro vinse sul diavolo “È altresì scritto” (Mat.4:7).
1. LE FALSE DOTTRINE DEVONO ESSERE RESPINTE
“Cura queste cose e datti ad esse interamente, affinché il tuo progresso sia manifesto a tutti” (1 Tim.4:15) Il giovane Timoteo, dopo essere stato ammaestrato dall’apostolo, operava da solo, curando una comunità ad Efeso. Paolo, con la veggenza di un ministro dotato anche di esperienza, era in grado di intuire ciò che stava accadendo nella Chiesa in generale e nel mondo. Unendo a ciò la cognizione delle profezie bibliche e della peccaminosa natura umana, Paolo riusciva ad anticipare inclinazioni future sia nella Chiesa che nella società. “Ma lo Spirito dice espressamente che nei tempi a venire alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori, e a dottrine di demoni per via della ipocrisia di uomini che proferiranno menzogna, segnati di un marchio nella loro propria coscienza… Poiché tutto quel che Dio ha creato è buono; e nulla è da riprovare, se usato con rendimento di grazie; perché è santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera” (1.Tim.4:1-5).
Sono proprio questi versi che formano il retroscena dell’appello di Paolo alla sana dottrina. Idee effimere e pratiche religiose a quei tempi non mancavano, come purtroppo ancora oggi; le false dottrine ma soprattutto lo sviamento dalla Verità erano le preoccupazioni maggiori dell’apostolo. La Bibbia dichiara apostata colui che ha chiaramente conosciuto la verità e l’ha poi rigettata. L’apostasia è il rinnegamento della verità; il subdolo ingannatore per eccellenza non si raffronta direttamente con la verità ma cerca di distorcerla, a volte anche in minima misura. Egli ha sempre cercato di sferrare attacchi all’integrità, alla stabilità e all’infallibilità delle Scritture. La bugia è facilmente proclamata da quelli che cadono a causa di spiriti seduttori, pur conoscendo la verità. Il misuratore della verità è la coscienza; Dio non ci ha privati di questa virtù ma, come il taglio di una scure deve essere affilata continuamente, così la Parola di Dio e la preghiera devono affinare la fede, altrimenti diventerà inefficace. Una coscienza indurita, infatti, rende inavvertibili i principi della Verità: “I quali vieteranno il matrimonio e ordineranno l’astensione da cibi che Dio ha creati affinché quelli che credono e hanno ben conosciuta la verità, ne usino con rendimento di grazie”.
Quando l’apostolo pronunciava questo versetto, probabilmente si riferiva all’eresia dello gnosticismo, che insegnava: l’anima e il corpo sono due identità separate. Questo insegnamento sosteneva che solo ciò che è nel regno dello spirito è puro, mentre ogni cosa che è nel regno fisico, come il corpo, è malvagio. Tale pensiero portava gli gnostici a negare che Gesù è Dio, dato che Egli venne sulla terra come uomo. Le dottrine di demoni tenteranno sempre di annullare ciò che Dio ha dichiarato come vero. Ma lo Spirito Santo, che inonda completamente il cuore del credente, gli renderà disgusta ogni contrapposizione delle ineccepibili verità bibliche.
2. CONOSCERE LA SANA DOTTRINA
“Perché è santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera. Rappresentando queste cose ai fratelli, tu sarai un buon ministro di Cristo Gesù, nutrito delle parole della fede e della buona dottrina che hai seguìta da presso. Ma schiva le favole profane e da vecchie; esèrcitati invece alla pietà… Certa è questa parola, e degna d’esser pienamente accettata. Poiché per questo noi fatichiamo e lottiamo: perché abbiamo posto la nostra speranza nell’Iddio vivente, che è il Salvatore di tutti gli uomini, principalmente dei credenti” (1 Tim.4:6-10).
Timoteo venne chiamato da Paolo ad attaccare l’errore e a mostrare, spiegando pubblicamente la falsa dottrina; questa è solo una piccola parte del compito dei pastori (1 Tim.4:6), i quali sono chiamati a fare di più che smascherare l’errore: essi hanno l’onore e anche l’onere di predicare la sana dottrina. La sana dottrina che conserva l’integrità delle Scritture e tende ad interpretare correttamente ciò che la Bibbia dice è chiamata Sana Dottrina o la Dottrina di Dio. Il predicatore pio e onesto, che si attiene fedelmente all’insegnamento biblico, farà pure in buona fede qualche errore di interpretazione, ma non insidierà mai l’autorità stessa della Bibbia. Ciò che edifica la nostra fede è l’alimentazione genuina della Verità. La Parola di Dio e la preghiera sono l’unico mezzo di nutrizione.
Pregare quotidianamente e frequentare regolarmente la Chiesa è essenziale per conservarsi integri e puri nella sana dottrina e nella vitalità spirituale. La peccaminosa natura umana è in continua ricerca di intrattenimenti che non aiutano affatto l’anima a crescere verso la pietà, e l’apostolo consapevole di ciò, desiderava che i suoi lettori evitassero attentamente ogni tipo di occupazione; Paolo si sofferma infatti sulle “favole profane e da vecchie” nel v. 7, esortando così i credenti a non farsi intrappolare da tali cose, poiché ogni volta che iniziamo a speculare o a fare delle supposizioni circa la verità stabilita, noi apriamo una strada all’inganno di Satana, ed è per questo che è indispensabile eludere le chiacchiere, i pettegolezzi e stare così fermi nella verità “Perché l’esercizio fisico è utile a poca cosa, mentre la pietà è utile a ogni cosa, avendo la promessa della vita presente e di quella futura” (v.8).
Paolo incoraggiava Timoteo con questa espressione figurata, affinché il giovane pastore continuasse a cercare la pietà ovvero a coltivare un costante rapporto con Dio. I ginnasti non si identificano tali solo perché indossano una divisa o entrano a far parte di una squadra; il loro primo compito è dare la migliore prestazione nel loro sport, ed è per questo che devono esercitarsi continuamente per mantenersi nelle migliori condizioni fisiche. Allo stesso modo, non possiamo dare il meglio a Dio se non ci discipliniamo nella pietà. Ciò significa offrire del tempo alla preghiera e alla Parola. Se siamo troppo occupati in altre mansioni, e quindi non abbiamo tempo per pregare, dobbiamo riesaminare l’ordine dei nostri valori e dare la precedenza alle cose che la meritano. È giusto e saggio mantenere in forma il nostro corpo che è il tempio dello Spirito Santo, ma è più giusto e onesto davanti a Dio e agli uomini dare la priorità all’esercizio della pietà. L’esercizio fisico è ben poca cosa, poiché temporaneo, la pietà è invece duratura. Come Paolo riusciva sotto la guida dello Spirito Santo a vedere le cose nella loro dimensione eterna, così dovrebbe vederle ogni ministro di Dio, consapevoli del fatto che abbiamo poco tempo da dedicare all’opera di Dio, non dovremmo perdere neppure un attimo. Egli è colui che sa ricompensare il nostro lavoro.
3. ESPORRE LA SANA DOTTRINA
“Ordina queste cose e insegnale. Nessuno disprezzi la tua giovane età; ma sii di esempio ai credenti, nel parlare, nel comportamento, nell’amore, nella fede, nella purezza. Applicati, finché io venga, alla lettura, all’esortazione, all’insegnamento. Non trascurare il carisma che è in te… Occupati di queste cose e dèdicati interamente ad esse perché il tuo progresso sia manifesto a tutti. Bada a te stesso e all’insegnamento; persevera in queste cose perché, facendo cosí, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano” (1 Tim.4:11-16).
Paolo chiamò il giovane Timoteo a sostenere, attraverso la sua predicazione ed il suo insegnamento, la ricerca della santificazione e della pietà, infatti l’espressione “queste cose” (v.11) si riferisce a cercare la santità. La parola “ordina” dovrebbe essere recepita nel senso di incitare o fare appello: Timoteo doveva spronare alla pietà e ogni credente sarebbe tenuto a sforzarsi di praticarla. Al tempo di questa lettera probabilmente Timoteo era molto giovane e apparentemente questo poteva sembrare un problema per lui, dato che nella comunità che lui presedeva molti erano più anziani ed è probabile che alcuni non accettassero d’essere ammaestrati e guidati da una persona più giovane di loro. L’apostolo spinse quindi il giovane ministro a vivere ciò che predicava: “…ma sii di esempio ai credenti”.
Questo, infatti, gli avrebbe permesso di acquisire credibilità dinanzi all’assemblea. Ma in nessun momento Timoteo avrebbe dovuto scusarsi per la sua giovinezza. Proprio come un buon padre, Paolo desiderava visitare il suo giovane figliolo nella fede (v. 13), contemporaneamente esortava il giovane pastore a non smettere di accrescere il suo ministerio (v. 14).
Come tutti i predicatori, Timoteo necessitava di esercitarsi nella preghiera e nello studio della Parola per mettere a frutto i suoi doni. Il ministerio reclama devozione (v.4:15) che deve essere concentrata intorno alla sana dottrina. Il puro e sano insegnamento biblico porta vita e speranza ai peccatori morenti in questo mondo. La principale opera di satana è cercare di distruggere la Verità e così sempre di più, ogni giorno, emergono dei falsi insegnanti. Che diremo dunque? L’unica risposta è la verità della Parola di Dio. Non smettiamo mai di conoscere e predicare la sana dottrina; ogni cristiano deve possedere nel suo cuore la verità, perché tutti quelli che cresceranno in Dio e nella Sua Parola scritta non rischieranno di essere intrappolali dall’inganno di satana. Nessun cristiano può confidare unicamente sui pastori o sugli evangelisti, delegando a loro ogni impegno nell’evangelizzazione. Oltre ad ascoltare i sermoni attentamente, siamo chiamati in prima persona a studiare fedelmente la Bibbia per conoscere come tagliare “rettamente la Parola della verità” (2 Tim.2:15).
https://www.transcripture.com/italiano-inglese-giovanni-5.html BIBBIA A DUE FACCIATE OGNI FACCIATA SI TRASPORMA IN TUTTE LE LINGUE COSI CHE ITALIANO A UNA PARTE ED INGLESE DA UN`ANALTRA PARTE E VICEVERSA COSICCHE POTRETE INSEGNARVI A PARLARE TUTTE LE LINGUE
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DIO NON È UNA RELIGIONE, TUTTE LE RELIGIONI DI QUESTO MONDO SONO OPERA DEL L'UOMO, NESSUNA RELIGIONE PUÒ SALVARE LE ANIME DEGLI UOMINI, NESSUNA È GIUSTA, E NESSUNA RELIGIONE È STATA FONDATA DA DIO, MA UOMINI RIBELLI E MALVAGI SI SONO PRESI LA PROPIA CONDANNA, E HANNO FONDATO RELIGIONI E DENOMINAZIONI CHE DIO NON HA MAI ORDINATO, DIO È SPIRITO, E TUTTI COLORO CHE CREDONO NEL VANGELO DEL SIGNORE GESÙ CRISTO, E SI RAVVEDONO E FANNO IL BATTESIMO NEL NOME DEL SIGNORE GESÙ CRISTO, RICEVONO LO SPIRITO SANTO PER AVERE COMUNIONE CON IL SIGNORE E ADORARE DIO IN SPIRITO E VERITÀ E CAMMINANO SECONDO LA VOLONTÀ DI DIO! ECCO PERCHÉ VEDIAMO CHE MOLTI DICONO DI CREDERE IN DIO , MA NON UBBIDISCONO AL VANGELO E NON CAMMINANO SECONDO LA VOLONTÀ DI DIO, ANZI SE CERCHI DI CORREGGERLI TI INSULTANO, PERCHÉ NON CONOSCONO IL SIGNORE NÈ LA PAROLA DI DIO, PERCHÉ SEGUONO QUESTE RELIGIONI CHE HANNO DOTTRINE FATTE DAGLI UOMINI, V.GIOVANNI 4:23 Ma l'ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori. V.GIOVANNI 4:24 Dio è Spirito; e quelli che l'adorano, bisogna che l'adorino in spirito e verità». DIO È UNO, E SI È MANIFESTATO IN CARNE, IL SUO NOME È GESÙ CRISTO IL SIGNORE DIO ONNIPOTENTE. IL VERBO DELLA VITA ETERNA, 1TIMOTEO 3:16 Senza dubbio, grande è il mistero della pietà: DIO è stato manifestato in carne, è stato giustificato nello Spirito, è apparso agli angeli, è stato predicato fra le nazioni, è stato creduto nel mondo, è stato elevato in gloria. V.GIOVANNI 10:30 Io e il Padre siamo UNO ». V.GIOVANNI 14:9 Gesù gli disse: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? CHI HA VISTO ME, HA VISTO IL PADRE; come mai tu dici: "Mostraci il Padre"? COLOSSESI 2:9 perché in lui ( CRISTO GESÙ ) abita corporalmente TUTTA LA PIENEZZA DELLA DEITÀ; ANGELO PICONE VIA TRAZZERA PIAZZA ARMERINA 13 LICATA AGRIGENTO 92027 CODICE POSTALEWWW.GESULALUCEDELMONDO.ITSITO CRISTIANO IL PARADISO DEL FRATELLO ANGELO PICONE AGGIUNGETEMI IN WATT SAPP NUMERO 00491771838057 E MI SCRIVETE I VOSTRI PROBLEMI E MALATTIE PREGHERO PER VOI DIO E GESU E VI GUARIRANNO AMEN
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